Cinque fotografe per un “Soggetto nomade”. Sguardi al femminile a Palermo
Centro Internazionale di Fotografia, Palermo – fino al 22 settembre 2019. Dopo il debutto al Museo Pecci di Prato, un’intensa mostra racconta a Palermo trent’anni di mutamenti sociali e culturali, in un’Italia immortalata da cinque grandi fotografe. Tra femministe e icone del cinema, una carrellata di facce note o comuni, indagando l’identità femminile contemporanea.
Inquieto, proteiforme, aperto alle differenze: nella sfida del nomadismo c’è l’antidoto a un’idea di potere come vincolo e stereotipo, esercizio coercitivo tra il corpo e l’immaginazione. Il principio di libertà si declina qui sul piano del diritto e lungo le geografie del desiderio. Ed è intorno a questo Soggetto nomade – femminile ma non solo, singolare e plurale, identitario e ribelle – che Cristiana Perrella ha costruito una bella mostra, presentata al Pecci di Prato e poi al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo.
Identità femminile e ricerca artistica, tra il 1965 e il 1985, per cinque autrici e un centinaio di fotografie in bianco e nero. Tra la folla di ritratti emerge il volto di un’Italia che cambia a suon di lotte per l’emancipazione sociale, culturale, sessuale, per la consapevolezza dei corpi, tra volontà, rispetto e piacere, per la partecipazione civile, l’accesso al lavoro e all’istruzione, e contro il sistema mafioso o il dominio patriarcale. E la fotografia, in questa storia collettiva di turbamenti e di conquiste, è testimonianza bruciante, erranza del margine, strategia del proibito e del candore.
STORIE DI RISCATTI E DI RIVENDICAZIONI
Dai travestiti su cui Lisetta Carmi posò il suo sguardo umano ma non compassionevole, curioso e privo di forzature, dissolvendo il giudizio morale nella gioiosa simmetria fra erotismo e quotidiano, fino alle donne e le bambine di una Sicilia che Letizia Battaglia immortalò, con la sua miscela di ferocia e tenerezza, negli anni della mafia al potere, dei manicomi appena chiusi, delle scintille e delle miserie urbane. Ci sono gli scatti di Paola Agosti, che documentò dibattiti, sit-in e cortei dei movimenti femministi, raccogliendo voci e visi di donne che avevano fatto la Resistenza, operaie, contadine, le figlie e le madri, generazioni dialetticamente coese nella volontà crescente di rivendicazione; e poi i volti di attrici, artiste, scrittrici, che Elisabetta Catalano contribuì a consacrare nel firmamento delle moderne icone, unendo la forza del glam al magnetismo intellettuale. Infine, con Marialba Russo, i maschi truccati e abbigliati da femmine durante il carnevale campano, nel gioco di una virilità sospesa per un giorno solo, scivolando impercettibilmente verso un doppio così vicino, così lontano.
“La fotografia”, scriveva Carmi, “mi è servita per capire chi ero io e chi sono gli altri. Non esistono comportamenti obbligati se non in una tradizione autoritaria che ci viene imposta”. Ancora il potere al centro del discorso antropologico ed esistenziale. Ancora la fotografia come dispositivo plurale, con cui rubare storie da indossare e da collezionare, liberamente. Le rotte sono quelle nomadi della contestazione e della riscrittura di sé, fra il tempo che si fa istantanea implacabile e il mondo intorno che continua a cambiare.
– Helga Marsala
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