Fotografia e seduzione. Man Ray a Torino
Camera, Torino – fino al 19 gennaio 2020. Una indagine profonda e inedita è alla base della mostra fotografica torinese dedicata a Man Ray.
Negli spazi di Camera è possibile dialogare con la poetica fotografica di Man Ray (Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976) in un discorso sorprendente, dove a padroneggiare non è la metrica creativa del fotografo, quanto il mondo femminile che ne ha tracciato significative svolte, a cura di Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola. Conosciamo Man Ray per la forma di sensualità irriverente, schietta, naturale che trapela dai suoi lavori, ma poco sappiamo di quella storia “in rosa” che ha attraversato il suo percorso di vita creativa e personale. Donne che con lui hanno collaborato, litigato, da lui hanno appreso e a lui hanno insegnato e che si sono rivelate, nella stessa misura, grandi protagoniste della scena fotografica mondiale. È in questa struttura di racconto che si snoda l’esposizione, prende vita un discorso artistico e umano, portando in scena una storia inedita insieme a capolavori noti.
LE DONNE DI MAN RAY
Man Ray, ma non solo. Accanto a lui, in questa lettura intrigante della figura femminile, entrano in scena Lee Miller, Berenice Abbott, Meret Oppenheim, Dora Maar a esporre in maniera individuale un’autentica dicitura dell’arte fotografica. Compagne, complici, artiste, modelle, tutte hanno firmato una pagina del metaforico libro di Emmanuel Radnitzky, passato alla storia come Man Ray. Berenice Abbott e Lee Miller, assistenti brillanti, audaci, che presto si liberano della personalità del maestro per affermare un loro linguaggio autonomo. Affermava Sylvia Beach, proprietaria della leggendaria libreria Shakespeare and Company: “Essere fotografati da Man Ray o da Berenice Abbott significa essere qualcuno”. Meret Oppenheim presta il suo corpo nudo a una delle serie più celebri firmate da Man Ray Érotique-voilée (1933) e al contempo produce opere d’impronta surreal-femminista.
LA MOSTRA
Circa duecento sono gli scatti presentati come voci narranti; tra le linee sinuose dei corpi e gli sguardi persi si determinano i passi di un viaggio intimo, nuovo. Fotografie scattate negli Anni Venti a Parigi, dove Man Ray diviene protagonista assoluto dello scenario dadaista prima, surrealista poi. Tutto il percorso conduce l’osservatore al riconoscimento di una nuova coscienza percettiva, dove la figura di Man Ray è un vissuto in espansione creativa, il comunicatore di una sensualità capace di mostrare se stessa e, allo stesso tempo, di dettare nuove letture. Una mostra unica, sia per la qualità delle fotografie esposte sia per il taglio originale nell’accostare l’elemento biografico a quello artistico. Attraverso i suoi rayograph, le solarizzazioni, le doppie esposizioni, il corpo femminile è in continuo mutamento di forme e significati, divenendo astratto, oggetto di seduzione, memoria classica, ritratto realista, in una leggera ed elegante riflessione sul tempo e sui modi della rappresentazione, non soltanto fotografica. Chiudono la mostra due nuclei significativi dell’opera dell’autore: The Fifty Faces of Juliet (1941-1955) e La mode au Congo (1937). Parliamo di un omaggio alla moglie Juliet Browner, dove lei presta la sua bellezza e il fotografo, con fare pittorico, ne traduce l’eleganza in termini artistici. La mode au Congo è invece una commissione: gli viene richiesto di realizzare fotografie di cappelli per un servizio di moda. Qui Man Ray sostituisce i cappelli con oggetti improbabili, come un cestino per il pane, uno spolverino, insomma una lettura ironica del circuito “moda”.
‒ Grazia Nuzzi
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