Sabbia, del compositore Alessandro Contini, è il brano ascoltato da Luca Spano (Cagliari, 1982) durante la costruzione del progetto fotografico Terra incognita. Nelle sue sonorità elettroniche, il pezzo musicale è la perfetta trasposizione delle immagini in mostra, con i suoni metallici che rendono la scala dei grigi argentei, le simmetrie, le linee, e un mare che sembra piombo fuso. Il musicista Contini, in una recente intervista, ha affermato che “il suono è un viaggio continuo” ed è significativo il fatto che anche il fotografo sardo descriva la sua attività nei termini di una ricerca senza fine, verso un’isola. “L’isola è tradizionalmente qualcosa rappresentato in una mappa con un’immagine di un piccolo disegno colorato circondato dal blu”, spiega. “È la rappresentazione di un luogo, sul quale probabilmente non metteremo mai piede, che rimarrà sempre lontano”.
La sala dell’Istituto Italiano di Cultura è proprio un piccolo lembo di terra in mezzo al mare, grazie alle 25 immagini prodotte dall’artista tra il 2011 e il 2018, che raccontano la Sardegna dalla costa al suo interno. Le fotografie circondano un’installazione al centro della stanza, composta da quattro sedie tradizionali sarde (chiamate “scannetti”), e da quattro frammenti di diverse tipologie di roccia. Le sedie di misure differenti provengono dalla casa dove Spano è cresciuto e sono disposte secondo i quattro punti cardinali, in corrispondenza di quattro grandi fotografie sulla parete. Su ogni sedia è adagiata una pietra, rispettivamente: ossidiana, granito, trachite, arenaria. Ognuna di queste pietre ha avuto e ha una importanza storica, economica e culturale per la Sardegna, essendo stata merce di scambio, fondamento morfologico del paesaggio, materiale architettonico e scultoreo che disegnano un paesaggio culturale, attraverso simbolismi, luoghi particolari o con una forte carica di significati.
PAROLA ALL’ARTISTA
“Nei miei lavori c’è spesso un’associazione o una relazione tra immagini e installazioni. La fotografia per me è alla base di tutto, ma può anche non diventare il risultato finale”, afferma l’artista. “Essa è più che altro un modo di pensare e un mezzo per raccogliere le informazioni che poi mi permettono di creare. La mia attività consiste principalmente nel filtrare la realtà. Molto spesso, infatti, i progetti da cui derivano le fotografie servono giusto per aver un motore, una spinta, un pretesto. La vera ricerca è il continuare a produrre, senza un inizio e una fine”. È chiaro, quindi, che il fotografo, nel costruire il suo percorso artistico, o meglio filosofico, utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine della realtà.
Terra incognita si muove di fatto su un doppio registro, un doppio binario semantico. Da un lato la resa di un tema, in questo caso la Sardegna, nella sua specificità geografica e culturale, e dall’altro l’isola che diventa metafora del concetto d’immagine. La fotografia come mezzo di scoperta in cui l’oggetto rappresentato, nel diventare “immagine”, non è più lo stesso, ma una sua interpretazione soggettiva. “Il titolo di questo lavoro, ‘Terra incognita’, è legato appunto al mio interrogativo più grande: capire che cos’è un’immagine. Ed è qualcosa a cui non arriverò mai ed è forse per questo che sono cosi interessato alla ricerca. Perché penso moltissimo a cos’è la fotografia, al mezzo fotografico e all’immagine in generale e a come essi vengono utilizzati dalla società, a livello culturale e antropologico”.
L’isola è, dunque, un luogo che esiste attraverso la sua rappresentazione, ma che risulta irraggiungibile, rendendo la sua ricerca un atto di creazione di realtà. “Crescere in un’isola per me ha un importante significato, non tanto per la Sardegna in sé, ma per l’insularità in generale che permette di creare una relazione con l’esterno, con una sorta di sconosciuto, con il mare che in qualche modo ti nasconde e ti tiene lontano da un possibile altrove oppure che ti connette a esso”, dichiara. “Il mare rappresenta l’elemento sconosciuto, è un po’ come fare arte, si va verso qualcosa che non si conosce e si continua a farlo sperando, e non sperando, di trovare qualcosa. Il bordo, il confine, è la possibilità che tu ti stia sporgendo verso l’ignoto e che allo stesso tempo tu stia tenendo i piedi sulla terraferma, su quello che conosci e che ti dà sicurezza”.
Alcune fotografie della mostra fanno parte di un progetto, mai pubblicato, inerente ai bacini idrografici sardi, circa 38 laghi di cui 37 artificiali e a tal proposito l’artista spiega: “Quando io ero bambino e fino a quel momento quei bacini per me erano sempre stati naturali, li percepivo in questo modo. Quindi c’è anche tutto un gioco straniante tra quello che è l’immagine legata all’apparenza delle cose e la realtà. Realtà che poi resta, in ogni caso, qualcosa di molto soggettivo”.
GLI SCATTI
Il lavoro di Spano si presenta estremamente interessante per il contrasto tra un pensiero di fondo, sconfinato negli interrogativi che si pone, e la sua effettiva trasposizione fotografica, che si mostra invece netta e definita nei contorni. I colori bianco e nero, la scala dei grigi e il taglio quadrato per semplificare, per andare dritto al punto senza tergiversare. Resa geometrica, lineare, perfettamente centrata e bilanciata dei soggetti rappresentati, come se la composizione fotografica consentisse all’autore di mettere ordine nel suo pensiero. “Non esiste il caos nella fotografia, nel momento in cui l’immagine è nella pellicola essa ha un ordine, un inizio e una fine, nel quale la casualità è sempre relativa. Ho una predilezione per un certo tipo di composizione e utilizzo sempre il formato quadrato perché, come il bianco e il nero, mi semplifica le cose. E le domande arrivano dopo”.
Luca Spano è uno dei fotografi italiani più promettenti nel panorama internazionale. Le sue fotografie sono state esposte nei musei e nelle gallerie di Europa e Stati Uniti, come il museo Macro di Roma, la Triennale di Milano e la Galleria Caelum di New York. Le sue ricerche artistiche, invece, hanno ottenuto importanti riconoscimenti tra i quali il MEAD Fellowship, il premio John Hertell e il premio Graziadei.
Attualmente l’artista vive e lavora a New York e in merito alla situazione artistica e culturale della Sardegna e più in generale dell’Italia afferma: “Tornerei a insegnare in Sardegna, credendo molto nella condivisione e nel fare esperienza. Non voglio scadere nella retorica e dire cose negative sul nostro Paese, ma all’estero molto spesso c’è un’energia diversa, una diversa positività. Si è circondati da gente che ci prova e, anche se la competitività è alta, tu continui a provarci. Nei luoghi più piccoli, come appunto quello in cui sono nato, ma forse l’Italia tutta, di frequente manca questo substrato di energia intorno ed è molto facile perdersi. È una questione di mentalità, di avere uno slancio diverso. Un’energia che ti sostiene e che ti dà la percezione che tutto può essere possibile”.
‒ Arianna Piccolo
Parigi // fino al 3 gennaio 2020
Luca Spano – Terra incognita
ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA
50 rue de Varenne
https://iicparigi.esteri.it
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