Sebastião Salgado, narratore dei drammi dell’umanità
Riapre alla Fondazione Pistoia Musei la mostra del fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Un fotogiornalista che ha dedicato la sua vita agli ultimi della terra.
Dopo George Tatge, continua a Pistoia il percorso sulla fotografia contemporanea: in 180 opere, gli ultimi della Terra raccontati dal brasiliano Sebastião Salgado (Aimores, 1944), che ne ha seguite le tracce sugli sentieri delle migrazioni, delle carestie, della guerre. Fino al 26 luglio, nella doppia sede di Palazzo dei Vescovi e di Palazzo Buontalenti, la mostra riapre al pubblico dopo la lunga emergenza da Coronavirus.
Le migrazioni di massa sono soltanto la proverbiale punta dell’iceberg di problematiche sociali che si ripercuotono su larghissima scala e che hanno origine nel divario tra ricchi e poveri, nell’eccessiva crescita demografica, nella distruzione di interi ecosistemi, nei cambiamenti climatici, nelle guerre e nel fanatismo religioso; Salgado le racconta con lo sguardo del fotogiornalista, cui però aggiunge comprensione e umana partecipazione ai drammi di cui è testimone.
UN DESTINO FORSE COMUNE
La mostra si sviluppa come un lungo racconto per immagini dal sapore antropologico e sociale, ma anche sacro per il rispetto con cui il fotografo si avvicina ai soggetti, fra situazioni economiche, culturali, politiche e sociali differenti nella forma e nelle condizioni, ma non nella sostanza: scenario dopo scenario, dall’Africa al Medio Oriente, passando per l’Indocina, i Balcani e il Sudamerica, i drammi dell’umanità sembrano ripetersi secondo il medesimo, tragico copione; la sofferenza, con sardonica imparzialità, non distingue fra etnie, latitudini, culture, religioni. E attraverso le sue fotografie, come un Balzac del Terzo Millennio, Salgado documenta e racconta con partecipazione la forza dell’umanità di rialzarsi e continuare il cammino, ricordandoci che, in fondo, al di là di differenze esteriori, nella sostanza spirituale l’umanità è una soltanto, e la reazione alle catastrofi è sostanzialmente la stessa, così come tutti soffrono allo stesso modo. E un domani forse non troppo lontano, anche l’Occidente potrebbe ritrovarsi nelle stesse situazioni.
IL RACCONTO DELLA SOFFERENZA
Salgado non cerca l’estetica, la maniera, la sensazione; le sue fotografie catturano la vita vera e difficile, senza retorica o spettacolarizzazioni di sorta. Guardandole, si respira la polvere del deserto, si prova la sete dopo una lunga marcia sotto il sole, si percepisce la fatica quotidiana di pastori o pescatori di poverissimi villaggi nel Sud del mondo. Ma soprattutto, si percepisce l’angoscia quotidiana di dover affrontare un futuro instabile, spesso non sapendo alla mattina se si sarà ancora vivi alla sera. Dal genocidio in Ruanda alla guerra civile nella ex Jugoslavia, dal regime talebano in Afghanistan alle baraccopoli di San Paolo; tragedie non ancora del tutto spente, che hanno segnato i corpi e le menti di milioni di persone, e che Salgado racchiude nelle migliaia di sguardi immortalati, che portano in sé l’innocenza violata dall’insensatezza della malvagità umana.
Si tratta di immagini universali che potrebbero provenire da qualsiasi epoca, tante sono state le migrazioni, le guerre, le carestie, le distruzioni, nel corso della storia umana. E il bianco e nero accentua il peso del tempo, e conferisce alle scene un’atmosfera “biblica”, dove la storia si fa sociologia, e viene spontaneo chiedersi “perché”. Raccontando le vicende degli “ultimi della Terra”, Salgado chiama implicitamente in causa le responsabilità e le colpe di un sistema economico e politico che, in nome del denaro, permette e favorisce simili tragedie. Cui l’umanità, o almeno la sua parte sana, non può rimanere indifferente. Come ha dichiarato lo stesso fotografo, “non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte”.
‒ Niccolò Lucarelli
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