Fotografia ieri e oggi. Intervista con Mario Cresci
A settembre Mario Cresci, figura centrale della fotografia (e dell'arte) italiana, sarà a Modena con ben due mostre. Una sua personale a Palazzo Santa Margherita e in dialogo con Fox Talbot alle Gallerie Estensi. Ci siamo fatti raccontare quali lavori saranno esposti, con che criterio...
La luce, la traccia, la forma è il titolo della mostra di Mario Cresci che inaugurerà il 12 settembre a Palazzo Santa Margherita di Modena. La mostra, curata da Chiara Dall’Olio, è organizzata da Fondazione Modena Arti Visive. FMAV ha, inoltre, invitato Cresci a creare un dialogo con la mostra L’impronta del reale. W. H. Fox Talbot alle origini della fotografia, straordinaria occasione espositiva, proposta dalle Gallerie Estensi in collaborazione con la stessa Fondazione.
Abbiamo chiesto all’artista di parlarci dei diversi progetti in mostra, in primis del dialogo con Fox Talbot.
L’INTERVISTA A MARIO CRESCI
Già altre volte avevi creato un dialogo tra la tua ricerca e la storia della fotografia, la storia dell’arte?
Infatti, con la serie Copia di copia degli Anni Ottanta avevo lavorato su una zona intermedia che non è né fotografia né disegno. Tracciando dei segni a matita su carta da lucido collocata sopra delle immagini fotografiche della storia della fotografia, che ritenevo particolarmente significative, avevo poi scansionato e stampato su carta il disegno che ne risultava. Apparentemente sembravano solo dei disegni ma in realtà erano altre immagini differenti dalle fotografie iniziali.
Per questa occasione hai ripreso un lavoro esposto nel 2011 per l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, che si focalizzava in parte sui segni incisi da Giovanni Battista Piranesi, Annibale Carracci e Luigi Calamatta, analizzati attraverso scatti fotografici e opere video, capaci di svelarne la matericità, nel rapporto con la lastra di rame.
Sono in mostra i Rivelati (Roma 2010), fotografie di inclinazioni diverse della lastra della Madonna della Seggiola di Raffaello, incisa a bulino da Calamatta nel 1863, che rivelano tre diverse immagini modificate dalla luce. Infatti, inclinando la lastra in varie direzioni, ho fatto delle sequenze in cui la luce passando sopra la superficie della lastra la modifica da positivo in negativo e viceversa.
Come entra Talbot in questo discorso?
La scoperta di Talbot alle origini della fotografia è stata molto importante, fin dai tempi degli studi veneziani degli Anni Sessanta della mia ricerca sulle immagini modificate dalla luce. La serie attualmente in mostra fa parte di una ricerca integrata con macro-prelievi estratti dalle fotografie delle lastre dei tre incisori, realizzate dall’amico Alfredo Corrao, fotografo della Soprintendenza, che ha messo a punto una metodologia per certi versi geniale che dà vita a immagini normalmente invisibili per l’occhio umano.
Sembrano quasi tridimensionali.
Infatti, con Corrao abbiamo realizzato delle stampe molto dettagliate, al punto da sembrare tattili: è la plasticità della fotografia, un discorso che mi interessa molto perché la fotografia non è solo un atto retinico, ma qualcosa che dovrebbe stimolare anche altre sensorialità.
Hai fatto anche dei video?
In Tre focus su Piranesi (Roma 2011-Bergamo 2020) ho operato per sottrazione isolando a partire da una macrofotografia i solchi del bulino incisi da Piranesi intorno al 1745 sulle lastre di rame dalla serie Le Carceri. Ho trasformato i segni incisi in segni luminosi in movimento, le sequenze sommandosi riportano al disegno originario, operando così un’analisi della percezione visiva attraverso le sue componenti elementari: le linee.
In mostra c’è un autoritratto particolare.
È un dittico composto da due immagini riflesse su una grande lastra di rame: una con il mio autoritratto e l’altra con l’immagine della macchina fotografica che si rispecchia nella lastra centro di un quadrato. La ripresa fotografica è stata realizzata alcuni anni fa nello studio dell’amico artista incisore Mario Benedetti a Bergamo. Simbolicamente l’opera diventa una sorta di incisione fatta con la luce sulla lastra attraverso la fotografia.
Per quanto riguarda il terzo tema della mostra, la forma, presento, esposto a terra in un lightbox lungo sei metri, un lavoro che avevo realizzato nel 1964 a Venezia per la serie Geometria non euclidea (Alterazione del quadrato, Venezia 1964-Matera 1972) come omaggio a Malevic.
C’è un chiaro riferimento al discorso della fotografia come indice, come traccia, come registrazione.
Esattamente come traccia direi, perché ho usato la superfice della lastra per “incidere” con la luce come fa l’incisore.
Si può affermare che questa mostra è un’indagine linguistica sul tema del linguaggio fotografico?
Direi proprio di sì. È un passaggio fra le discipline della teoria della forma a quelle della percezione visiva che sono entrambe alla base della mia ricerca nel tempo.
– Angela Madesani
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