Ritrarre la pandemia. Quattro fotografi in mostra a New York
Francesca Magnani, fotografa italiana di stanza a New York, è tra i protagonisti della mostra inaugurata dall’International Center of Photography, per ora soltanto online, e dedicata al complesso periodo che stiamo vivendo da una parte all’altra del mondo.
Dopo il Museum of the City of New York, anche l’ICP, il tempio della fotografia newyorkese che di recente si è trasferito nel Lower East Side, proprio dirimpetto all’Essex Market, ha inaugurato una mostra fotografica sul periodo in corso, che in questo caso non è limitata alla città, ma coinvolge fotografi da ogni parte del mondo. Le foto esposte sono per ora quasi mille e già una parte di queste si può vedere online, in attesa dell’apertura dei musei, che il governatore Cuomo ha annunciato essere imminente.
Il progetto, avviato l’11 agosto, è molto ambizioso, ma come sono state scelte le immagini?
Il 20 marzo, il Centro ha divulgato un invito a pubblicare e taggare le immagini della propria esperienza della pandemia. L’hashtag #ICPConcerned richiama il principio fondante della scuola-museo newyorkese, la “concerned photography”, una fotografia impegnata in cui immagini di orientamento sociale e politico possono educare e cambiare il mondo. I casi confermati avevano appena superato i 200mila a livello globale. C’erano voluti più di tre mesi per raggiungere i primi 100mila e solo 12 giorni per arrivare ai successivi 100mila. Il 24 marzo il numero aveva superato i 400mila. Quando i casi confermati a New York sono arrivati a 10mila, anche il numero di immagini taggate su Instagram ha raggiunto la medesima cifra.
Il lavoro è stato dunque enorme: fotogiornalismo e immagini documentarie si accompagnano a fotografie più metaforiche. Le foto amatoriali da cellulare affiancano quelle dei professionisti. È presente un’intera gamma di emozioni, e molte immagini scattate negli USA parlano di Black Lives Matter, perché le manifestazioni a seguito dell’uccisione di George Floyd a Minneapolis sono andate ad aggiungersi e sovrapporsi a quelle della pandemia: rabbia, disperazione, perdita, confusione, frustrazione, noia, solitudine, forza, determinazione.
Abbiamo chiesto a tre fotografi in mostra di proporci e descrivere la loro immagine, e a questi si è aggiunta anche la sottoscritta, che sta svolgendo dall’inizio della pandemia un lavoro di ricerca sulla maschera/mascherina a New York.
‒ Francesca Magnani
https://www.icp.org/exhibitions/icpconcerned-global-images-for-global-crisis
FRANCESCA MAGNANI, HELL’S KITCHEN, 10 MAGGIO
L’immagine da me scattata ritrae un avvocato newyorkese che in un assolato tardo pomeriggio di maggio mi colpì perché camminava in un completo giallo fluo, e pareva che l’abbigliamento fosse stato scelto in funzione del colore della mascherina. Io ero in autobus che attraversavo la 42ma strada ma mi affrettai a scendere e poi camminammo insieme per qualche isolato. “Sto andando a un compleanno”, mi disse l’uomo, “mi sono vestito così perché ho pensato che in questa situazione dobbiamo fare il possibile per trovare un lato leggero, divertente”.
NINA DRAPACZ, CONEY ISLAND, 16 GIUGNO
Sto documentando la resilienza dei newyorkesi mentre le vite vengono trasformate dalla pandemia. Questa foto è stata fatta il primo giorno in cui ho lasciato la città dopo 3 mesi di isolamento nel mio piccolo appartamento. In spiaggia sembrava che il Covid non fosse mai successo finché non ho visto queste due donne con la maschera camminare nella mia direzione. La paura e l’ansia della realtà del Covid sono tornate. Ho afferrato la macchina e ho cliccato.
DANIELLE GOLDSTEIN, FROM MY WINDOW
Ho iniziato a fotografare fuori dalla mia finestra quando a marzo è iniziata la quarantena a New York. Fotografavo la vita che potevo osservare dal mio appartamento all’ottavo piano, perché scattare in strada sembrava irresponsabile e non sicuro. Ma la necessità di documentare quanto stava accadendo nella mia città era schiacciante. Il progetto è diventato inaspettatamente toccante quando ho osservato i miei colleghi newyorkesi che si facevano strada attraverso questa crisi proprio come me. È stato incoraggiante vedere come abbiamo di nuovo trovato il modo di connetterci gli uni con gli altri, anche durante l’isolamento. La resilienza dei newyorkesi mostra che ci prendiamo cura gli uni degli altri, anche se a distanza. Essere parte della mostra all’ICP è emozionante per me, perché è lì che ho studiato e imparato 11 anni fa. In un certo senso, sento di aver chiuso il cerchio.
GIOVANNI DEL BRENNA, IL PRIMO SABATO SERA DOPO IL LOCKDOWN A PARIGI IN PLACE DU TERTRE, MONTMARTRE, 21 MARZO 2020
Era il primo giorno di primavera, il primo sabato sera di confinamento, non c’era nessuno a Place du Tertre e Montmartre era deserta. Da Parigi non arrivava nessun suono. Era triste e bellissimo, un momento unico.
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