Scatti di sublime eleganza. La fashion photography in mostra a Vicenza
Cinque fotografi per vent'anni di fashion photography: la mostra dedicata a Norman Parkinson dalla Fondazione Bisazza di Montecchio Maggiore è un inno all'eleganza, a una moda che mediante lo stile risarcì la tragedia della guerra, a una bellezza femminile esaltata dalla creatività degli stilisti e immortalata dagli obiettivi dei fotografi. Una mostra da vedere prima della nuova chiusura di musei e istituzioni culturali per effetto dell’ultimo DPCM.
Fu un autentico pioniere della fotografia di moda. Norman Parkinson, londinese classe 1913, si inventò un nuovo modo di ritrarre le sue modelle che per le riviste patinate dell’epoca indossavano ed esibivano magnifici abiti: le portò fuori dagli atelier e dagli studi, nei quali rappresentavano un’élite raffinata ed esclusiva, e le fotografò nei più vari contesti della vita quotidiana: dalle strade alle spiagge, da location insolite – a bordo di un aereo o di un’auto – agli scenari esotici divenuti raggiungibili grazie allo sviluppo di potenti mezzi di trasporto. E lo fece nel ventennio tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’anno della rivolta studentesca: un lasso di tempo che vide affermarsi straordinarie figure dell’alta moda come Christian Dior – colui che contribuì a far dissolvere l’austerità e le linee rigide tipiche degli Anni Quaranta in favore di una leggerezza tesa a esaltare il corpo femminile – e Coco Chanel, fino ad arrivare alle nuove generazioni, quelle di Yves Saint Laurent e Mary Quant. Ma quello fu anche il periodo in cui misero radici profonde i movimenti per l’emancipazione della donna – e già nelle foto di Parkinson le modelle sono intelligenti, ironiche e protagoniste della scena assieme al fotografo –, che sbocciarono nel 1968.
LE FOTOGRAFIE DI NORMAN PARKINSON E COLLEGHI
Nella mostra, organizzata in collaborazione con Iconic Images, a fare compagnia a “Parks”, come si faceva chiamare, sono stati “convocati” anche Milton Greene – suoi ben 3000 scatti a Marilyn Monroe –, Terence Donovan, Terry O’Neill e Jerry Shatzberg: tutti con la loro fotocamera, tutti con uno sguardo originale e con la capacità di cogliere quella segreta armonia che sempre si instaura tra una donna e un abito di haute couture. Ecco allora che, tra grandi stampe in bianco e nero o di colori sgargianti, come se fossero dipinte con pigmenti puri, si snoda la storia di una disciplina che trovò la sua massima celebrazione su riviste quali Vogue, Harper’s Bazaar o Queen. Su quelle pagine però non venivano ospitate solo modelle: gli Anni Cinquanta furono anni d’oro per il cinema e le splendide attrici divennero icone anche grazie ad abiti disegnati per loro da Cristobal Balenciaga, con le sue audaci asimmetrie e i contrasti cromatici, o da Hubert de Givency.
Infine, gli “Swinging Sixties”: in una Londra trasformatasi in centro culturale d’avanguardia, i fotografi non mancarono di fissare sulla pellicola i volti dei Beatles, dei Rolling Stones, di Mary Quant, colei che inventò la minigonna, sancendo la fine di un’epoca della moda e inaugurando una nuova visione dell’universo femminile.
LA RACCOLTA DELLA FONDAZIONE BISAZZA
La Fondazione Bisazza non è però solo una sede per mostre temporanee, e lo testimonia la sua sontuosa facciata a rose rosa su fondo nero. I suoi 7.500 metri quadrati di spazio ex industriale accolgono permanentemente una sorprendente collezione di opere, molte delle quali monumentali, firmate da artisti e designer quali Mimmo Paladino, Sandro Chia, Ettore Sottsass, Patricia Urquiola, solo per fare alcuni nomi. Il fil rouge è il mosaico di vetro, core business dell’azienda fin dal 1956, che gli autori hanno reinterpretato con opere pensate site specific.
E non è tutto: la Fondazione ospita pure un’installazione permanente, assolutamente suggestiva, di Nobuyoshi Araki con la riproduzione del privé del “Rouge Bar”, night club situato nel quartiere Shinjuku di Tokyo, oltre a esporre una collezione di fotografie d’architettura con pezzi straordinari, tra cui un commovente, antichissimo scatto di Eugène Atget.
‒ Marta Santacatterina
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