Muore a 93 anni Cecilia Mangini, la fotografa e documentarista del sud
Cecilia Mangini ha raccontato, attraverso la macchina fotografica e la cinepresa, storia e cultura dell’Italia del Dopoguerra. Ne ripercorriamo vita e opere
È andata via Cecilia Mangini in una giornata fredda di fine gennaio. Con lei vola per sempre una delle pagine più alte della storia della fotografia, dell’antropologia e della cultura documentarista italiana e internazionale. Le sue Visoni e Passioni hanno percorso l’intera Italia dal Dopoguerra ad oggi, ponendo un’attenzione lenticolare su tutti coloro che hanno vissuto ai margini, alle donne del sud perennemente in lutto, agli operai, ma anche e soprattutto alle grandi personalità del cinema, della letteratura e dell’arte.
LA FOTOGRAFIA DI CECILIA MANGINI
Nata a Bari nel 1927, Cecilia Mangini è stata una documentarista che ha scrutato temi complessi del mondo in profondo cambiamento, come la morte, il lutto e la lamentazione funebre, e lo ha fatto con gli strumenti che meglio hanno interagito con sua personalità: la fotografia e la cinepresa. È entrata nelle case, ha dialogato con la gente, ha registrato l’ultima testimonianza del pianto rituale pugliese a Martano, un piccolissimo centro del Salento, sulla scia dell’incontro con Ernesto De Martino. Da qui nasce il film documento con Pier Paolo Pasolini che ne scriverà i commenti, Stendalì. Suonano Ancora (1960), dove le contadine del sud urlano il loro dolore ancestrale per la morte: lo “scandalo magico” per ciò che non si accetta. Chissà se ora Cecilia, incontrerà quelle stesse anziane che convulsamente agitavano i candidi fazzoletti del lutto e magari, ancora una volta, con la sua macchina fotografica Zeiss, registrerà i sussulti di vita, i gesti e le movenze inaspettate nei bianco e neri accecanti.
CECILIA MANGINI E IL SUD
Fra il materiale immenso, fatto di provini, stampe, appunti, immagini e documentari esposti e proiettati nel 2017 presso l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia di Roma, commuovono per il taglio malinconico e poetico, ma profondamente antropologico, gli scatti dedicati ad una contadina di Mola del 1958, in cui un anziana donna pugliese è chinata d’innanzi ad un altare domestico e perpetuo, in un gesto appartenete ad altri tempi, dove la magia e il rito hanno scandito la quotidianità. Quella “cultura della miseria” teorizzata da Oscar Lewis, è stata con Cecilia Mangini documentata attraverso un occhio fotografico tutto al femminile, dalla quale emerge un patrimonio del reale che rimarrà fonte di studio perenne e prezioso da cui trarre ancora considerazioni antropologiche. In una nota di qualche tempo fa, Cecilia ha scritto: “la realtà è una divinità. È una divinità elargita a chiunque sa afferrarla nel momento in cui le immagini cinematografiche danno il senso della realtà, il senso di quello che scorre insieme e dentro la nostra vita come un fiume carsico che ogni tanto affiora, scompare e ricompare”. Purtroppo oggi quella realtà da lei sempre indagata con energia profonda, è triste: perdiamo tutti una donna magnetica, un’artista colta e combattiva del sud.
– Fabio Petrelli
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