Fotografare la pandemia. Ci provano 12 artisti in mostra a Roma
Palazzo Barberini ospita la mostra che riunisce gli scatti di dodici fotografi: il tema per tutti è la pandemia e le dinamiche del lockdown che ne sono derivate.
Raccontare per immagini la pandemia non è cosa da poco, anche perché si rischia facilmente la banalità o la retorica. Una sfida che è stata vinta dagli autori riuniti nella mostra Italia in-attesa. 12 racconti fotografici, aperta fino al 13 giugno a Palazzo Barberini: curata da Margherita Guccione, Carlo Birrozzi e Flaminia Gennari Santori, raccoglie cento fotografie, commissionate ai dodici autori dal Ministero della Cultura ed esposte in un percorso che tocca cinque ambienti dell’edificio, dei quali tre aperti al pubblico per la prima volta in questa occasione. Si tratta della Sala dei Paesaggi, della Serra affacciata sul giardino interno e di un ambiente degli Anni Cinquanta che ospitava le cucine del Circolo Ufficiali, in un ambiente rettangolare che nel 1635 era definito “la stanza del Leone”, dove era tenuto il felino arrivato dalle coste della Libia per il serraglio del giovane cardinale Antonio Barberini.
DA OLIVO BARBIERI A SILVIA CAMPORESI
L’interesse per la visita di questi luoghi insoliti è arricchito dalle opere in mostra, allestite con rigore e sapienza da Enrico Quell per dare vita “a un racconto corale e polifonico della situazione attuale” ‒ dichiarano i curatori ‒ “dando allo stesso tempo conto di come il lockdown e l’emergenza sanitaria possano aver influito sullo sguardo di alcuni dei principali narratori visivi italiani”. Lo storytelling fotografico comincia nella Sala delle Colonne, dove dialogano Olivo Barbieri, presente con tre immagini degli affreschi della Camera degli Sposi di Mantegna a Mantova, definita da Barbieri come “una macchina visiva”, e gli scatti di Guido Guidi, dedicati a minimi dettagli di un’abitazione semplice, poetica nella sua essenzialità e prova del talento di uno dei maggiori fotografi italiani viventi, che aspetta ancora il meritato riconoscimento che merita. La mostra prosegue nelle cucine, dove si confrontano Antonio Biasiucci, Francesco Jodice, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Allegra Martin e George Tatge, con proposte differenti ma di qualità. Biasiucci presenta un polittico in bianco e nero intitolato Ghenos e dedicato alle basi del tronco visibili dopo il taglio dell’albero, in una serie di forme irregolari e antropomorfe, per raccontare un’assenza che si fa presenza; Francesco Jodice invece preferisce uno sguardo dall’alto sui falansteri italiani, dalle Vele di Napoli al Corviale di Roma fino al Quadrilatero di Trieste, utilizzando un drone satellitare, senza spostarsi dal suo divano. Le undici immagini di Silvia Camporesi scattate sulla Riviera romagnola mostrano un territorio silenzioso e sospeso, con una strizzatina d’occhio a Luigi Ghirri ma un rigore compositivo innegabile, mentre Allegra Martin esplora con l’obiettivo i musei di Milano, tra capolavori come l’Ultima cena di Leonardo e il Cristo morto di Mantegna, in assoluta solitudine, rendendo esplicita l’esperienza di vivere da soli emozioni che in tempi normali non sarebbero state mai possibili.
DA GEORGE TATGE A ILARIA FERRETTI
Le piazze delle cittadine umbre nel progetto Umbria smarrita di George Tatge, colte in un bianco e nero d’antan, sarebbero piaciute a Giorgio de Chirico per le loro scarne e ruvide geometrie, ben raccontate dal fotografo che le frequenta da anni, mentre il progetto Minimum di Mario Cresci, nell’ unire video e fotografia, appare un filo eccessivo nell’ambito di questa commissione. Al piano nobile del palazzo la Sala Ovale ospita le otto fotografie di Paola de Petri Rimini Venezia: un viaggio ideale lungo la costa adriatica seguendo il filo dell’orizzonte marino, spezzato solo dalle cupole di San Marco in una dimensione metafisica assai suggestiva, mentre nella Sala dei Paesaggi troviamo i paesaggi alpestri di Walter Niedermayr colti in diversi momenti della giornata. Il percorso si conclude nella serra esterna, dove dialogano Ilaria Ferretti e Andrea Jemolo: la prima ha esplorato le Marche e l’Umbria, tra campagne solitarie raccontate con sapienza e poesia e piazze monumentali, mentre Jemolo si è concentrato su Roma, esplorando tre tipologie di luoghi: le ville, gli spazi urbani e i monumenti iconici, in un Grand Tour interessante ma forse troppo patinato.
Un meritato plauso anche ai coordinatori scientifici Paola Nicita e Matteo Piccioni, che seguono l’intero progetto 2020 Fermoimmagine con la mostra Città sospese. I siti italiani Unesco nei giorni del lockdown, di prossima apertura a Palazzo Poli, e Refocus, una open call per fotografi under 40, progetto che sarà presentato alla Triennale di Milano.
‒ Ludovico Pratesi
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