La fotografia come denuncia sociale. Lisetta Carmi in mostra a Lecce
Il profondo legame con la Puglia, la fotografia intesa come strumento per la ricerca di verità, lo sguardo sugli ultimi, sugli emarginati, sugli oppressi, raccontati attraverso un crudo quanto eloquente realismo stilistico, caratterizzano la poetica di Lisetta Carmi. Protagonista della antologica allestita al Castello Carlo V di Lecce.
La fotografia, concepita nella sua accezione più alta di “strumento per la ricerca di verità”, come linguaggio espressivo che diviene denuncia sociale, non disgiunto dall’evocazione poetica. Per Lisetta Carmi è questa l’essenza della fotografia. Non a caso, la ragazza anticonformista di origini ebraiche, nata nel 1924 da una famiglia della borghesia genovese, ha fatto la storia della fotografia italiana.
La mostra antologica Lisetta Carmi – Gli Altri, inaugurata il 13 maggio al Castello Carlo V di Lecce ‒ a cura di Roberto Lacarbonara, Giovanni Battista Martini e Alessandro Zechini ‒, ripercorre alcune delle tappe più significative, dal 1960 alla fine degli Anni Settanta, dell’intenso percorso intrapreso da Lisetta. E lo fa con oltre sessanta scatti in bianco e nero. Crudi, caustici, diretti, che trafiggono l’anima come solo la crudezza della realtà può fare, raccontata nei ritratti degli ultimi, dei diseredati, degli emarginati, degli “altri”, appunto.
La mostra antologica sarà visitabile fino al 5 settembre, poi si sposterà al Museo Osvaldo Licini di Ascoli, fino a novembre 2021.
LA FOTOGRAFIA DI LISETTA CARMI
La poetica di Lisetta è profondamente legata alla Puglia. È qui, infatti, che ‒ abbandonata la carriera di pianista di successo – l’artista genovese inizia il suo percorso come fotografa, grazie al musicologo Leo Levi. Ed è a Cisternino che Lisetta si stabilirà (e dove vive tutt’oggi, all’età di 97 anni), dopo aver fondato, nel 1979, l’ashram Bhole Baba, in seguito alla crisi mistica, avvenuta dopo un viaggio in India, che segnerà il termine della sua pratica fotografica.
Gli scatti del 1976-77 esposti in mostra raccontano, con crudo realismo e da una prospettiva antropologico-poetica, che esula dallo standard della fotografia dell’epoca, la vita quotidiana nei paesini pugliesi, siciliani e nel paese sardo di Orgosolo. In particolare, attraverso lo scatto della raccolta delle olive nelle campagne di Cisternino, Lisetta riesce a fotografare l’intera società contadina dell’epoca, disvelandone la povertà, e insieme, sottolineando la profondità dell’ancestrale legame dei contadini con la terra. Eloquente nella sua drammaticità è, poi, il servizio fotografico realizzato nel 1964 per il progetto Genova porto: monopoli e potere operaio, in cui Lisetta denuncia le precarie condizioni lavorative dei camalli di Genova, e non mancano, in esposizione, due rare fotografie che immortalano momenti di lavoro all’Italsider di Cornegliano.
DALL’IDENTITÀ DI GENERE A EZRA POUND
Pioniera della denuncia sociale nell’ambito tematico dell’identità di genere, Lisetta ha fotografato, dal 1965, i transessuali di Genova, operando a favore degli “ultimi”, con determinazione e coraggio, in un’era di fortissima discriminazione, tanto che le librerie rifiutarono di esporre il suo libro fotografico I Travestiti, del 1972, edito dalla Essedì di Roma. La mostra antologica di Lecce propone venti scatti di questa serie, che colpiscono per gli sguardi dei transessuali ritratti, carichi di desolazione e disperazione.
Vi è, infine, una sezione del Castello Carlo V dedicata all’incontro di Lisetta con Ezra Pound, avvenuto nel 1966, nel ritiro-esilio del grande poeta americano, accusato di adesione al fascismo: una villetta di Sant’Ambrogio di Zoagli, a Rapallo, in cui Ezra Pound si rifugiò dopo tredici anni di internamento nel manicomio criminale di Saint Elizabeth, a Washington. Fu questo un momento cruciale nel percorso della fotografa ligure: l’incontro si svolse senza alcuna comunicazione verbale, ma Lisetta seppe tradurre l’intensità di quell’esperienza in arte fotografica, attraverso una serie di dodici scatti di grande impatto, in cui immortalò le espressioni del poeta, cogliendone la vacuità dello sguardo, i sentimenti di paura e di angoscia.
‒ Cecilia Pavone
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