Paolo Mussat Sartor. I suoi viaggi fotografici in mostra a Torino
Accostano sguardo fotografico e pittorico gli scatti di Paolo Mussat Sartor in mostra da Photo&Contemporary a Torino. Un viaggio per immagini da Parigi a Praga a Positano.
Una possibile Storia del viaggio del Novecento dovrebbe contenere alcune cose: dai viaggi record di Charles Lindbergh e Amelia Earhart a quelli tragici del Titanic e dello Zeppelin, dai viaggi con il peyote di Castaneda alle traversate in Patagonia di Chatwin, dal diario beatnik di Kerouac a quello visivo tenuto da Nan Goldin. Potrebbe considerare forse i viaggi social che tutti compiamo attraverso i post di “amici” e “inseguitori” ma certamente, per fotografare bene il concetto nei limiti del secolo breve, non potrebbero mancare la psicomagia di Jodorowsky e le scoperte di Oliver Sacks. E sarebbe bene che contenesse anche la storia dei viaggi di Paolo Mussat Sartor (Torino, 1947), costruita nel corso di mezzo secolo da quando, nel 1970 e con soli due anni di scarto, ha iniziato la propria ricerca libera dopo aver intrapreso la carriera di “ritrattista” del mondo dell’arte con Gian Enzo Sperone e gli artisti dell’Arte Povera nel 1968.
LA MOSTRA DI MUSSAT SARTOR A TORINO
La mostra personale ospitata da Photo&Contemporary (che ribadisce il lavoro fatto da Tucci Russo, suo gallerista e amico di una vita) è la conferma di come oggi, a 74 primavere, Paolo Mussat Sartor sia un punto di riferimento in Italia e a Torino innanzitutto. A partire dal 1985, nel periodo del ritorno alla pittura, il fotografo torinese segue il flusso, ma a modo suo, e introduce i pigmenti colorati e inventa le proprie tecniche miste per manipolare le stampe che divengono così opere uniche. La mostra, intitolata Visioni (un altro modo per indicare il viaggio mentale) mette a confronto i due periodi.
DA PARIGI A PRAGA
La prima serie di immagini risale ai primi Anni Settanta, quando Mussat Sartor si mette in auto e si dirige verso Parigi e, visto che è fotografo, scatta guidando: le immagini accolgono parte dell’abitacolo, dal parabrezza si squaderna il paesaggio arrembante. La serie, stampata in b/n su piccolo formato quadrato, assume i toni di un diario visivo redatto davvero on the road. Sono scatti semplici e diretti (il “ritocco” è ancora lontano) che richiamano anche il nuovo cinema americano del giovane Scorsese o le inquadrature dall’auto del Godard di À bout de souffle; è una presa diretta che offre un ruolo attivo al fotografo impegnato a ri-produrre il libero flusso di immagini. È quasi una sine cura la foto che avviene dall’auto, come sappiamo tutti da quando il cellulare permette di compiere quasi distrattamente fotografie da ogni luogo, in ogni tempo. Ma queste fotografie, all’epoca, rompevano con la fotografia di posa, evocavano il libero flusso di coscienza joyceiano e quelle città invisibili che Calvino pubblicava nel 1972 e che sembrano profilarsi in mostra nelle serie successive dedicate a Lisbona e Praga.
LE CITTÀ RITRATTE DA MUSSAT SARTOR
Sono ritratti di città reali trasformate in “visioni”, scenografie di viaggi mentali operati attraverso l’occhio squarciato dalla lametta di Buñuel. Paolo Mussat Sartor ci porta dove è stato lui, tra palazzi storici, monumenti, ponti, stradine, ringhiere e ombre. Ogni immagine è il compromesso tra la realtà registrata dall’apparecchio meccanico, lo sguardo d’artista e la mano evanescente e fantomatica del pittore. Sono tutte dipinte a mano, ma da una mano che sembra volersi cancellare nel momento stesso in cui agisce. Non è la fotografia dipinta tipica del periodo antecedente al Kodacolor (1941); le tecniche a olio povere di pigmenti qui utilizzate trasformano ogni immagine in una rappresentazione “interiorizzata”, fantasmatica e letteraria. Gli sbuffi di fumo rosso intenso che appaiono sulle strade di Lisbona fanno riferimento al rogo del Chiado, che incenerisce il quartiere storico nel 1988. Praga invece sembra uscita da un romanzo di Kafka: queste opere ben illustrerebbero libri come Il processo o Il castello.
POSITANO SECONDO MUSSAT SARTOR
Ma è uno scatto “singolo” e di straordinaria forza, ambientato in un palazzo di Positano, che fa palpitare per la presenza dell’impalpabile in una somma di grigi che sfumano tra mura e prospettive al cui centro una figura femminile sembra invitarci a entrare. In essa, si può notare l’ebrezza che il fotografo torinese impiega nel costruire un’immagine della città come luogo di smarrimento (e forse ritrovamento) di una mente febbrile e visionaria. Paolo Mussat Sartor ne è il reporter ma anche il narratore, il documentarista e l’affabulatore. Non rappresenta più il reale ma crea immagini interiorizzate, come se la macchina fotografica fosse capace d’impressionare le forme dei fantasmi, le apparizioni più sinistre e misteriose di una mente in preda a stati di soffusa ossessiva eccitazione. La sua mostra sarebbe piaciuta a Poe e Baudelaire.
‒ Nicola Davide Angerame
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