Obiettivo cibo alla Biennale Foto/Industria di Bologna
A Bologna il MAST ospita la quinta edizione della Biennale Foto/Industria: sono 11 le mostre dedicate ad altrettanti fotografi di ieri e di oggi, allestite nella sede della fondazione e in altri palazzi del centro storico
Qualche settimana fa è stato pubblicato il Rapporto Coop 2021 intitolato Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani, autentica bibbia per chi si occupa di food, e non solo, in Italia. Ebbene, dall’indagine risulta come nove italiani su dieci dichiarino di tenere in considerazione l’aspetto della sostenibilità quando devono acquistare generi alimentari. L’attenzione all’ambiente negli ultimi due anni pandemici ha visto un’incredibile accelerazione e ora si trova al centro delle strategie del comparto del food. La prendiamo un po’ alla lontana per raccontarvi l’ultima edizione della Biennale Foto/Industria, che ruota proprio attorno al tema del cibo, dell’industria alimentare.
IL BENESSERE DEGLI ANIMALI
Le prospettive che si aprono ai visitatori sono diverse, come lo sono le epoche delle fotografie e le provenienze degli autori, tuttavia è possibile tracciare un filo rosso che attraversa molti dei progetti esposti: quello che ci fa riflettere, appunto, sugli obiettivi della sostenibilità del benessere animale. Il più esplicito in tal senso è il lavoro di Mishka Henner (a Palazzo Zambeccari, Spazio Carbonesi) che per caso, durante le sue incessanti ricerche visive sviluppate attingendo dalle riprese di Google Hearth, ha notato alcune zone tempestate da tantissimi puntini neri vicini tra loro. Quei puntini sono i capi di bestiame tenuti all’ingrasso negli allevamenti intensivi degli Stati Uniti, dove ai bovini si impone una crescita rapidissima (12-18 mesi al posto dei normali 4-5 anni) per poter produrre la carne destinata alla grande distribuzione. Le opere di Henner ‒ composte da centinaia di immagini montate in modo da ricostruire un’intera area ‒ documentano le impressionanti geometrie di quelle “città-mangiatoia” e i loro effetti più immediati, evidenti nei “laghi” di liquami tossici che si formano al loro interno e che sconvolgono i territori circostanti.
Da un continente all’altro, Henk Wildschut (alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna) osserva gli allevamenti intensivi olandesi dal di dentro. Una foto ritrae un uomo seminudo in uno spogliatoio: “Oggi i contadini si alzano al mattino, vanno in azienda, si spogliano e si fanno la doccia”. “È strano” – racconta il fotografo –, “siamo abituati a pensare che i contadini si lavino al termine di una dura giornata di lavoro, non prima. Eppure, se vogliamo mangiare carne senza residui di antibiotici, l’igiene assoluta degli allevamenti sta al primo posto”. Ambienti “sterili”, innaturali, dove non mancano crudeltà come quelle subite dai pulcini maschi che, inutili per la produzione delle uova, vengono sistematicamente soppressi: “Li gasano con l’anidride carbonica”, spiega Wildshut. E in attesa dell’adozione delle tecnologie di in-ovo sexing, nostro malgrado siamo costretti a pensare che i pulcini olandesi sono più fortunati di tanti altri, e vi risparmiamo i dettagli.
CACCIA E VIOLENZA
Un balzo indietro nella storia ci trasporta a Favignana, dove negli Anni Cinquanta esisteva una delle tonnare più produttive del Mediterraneo. Herbert List (a Palazzo Fava), maestro di uno stile patinato, raffinatissimo, compone in via eccezionale un reportage intenso sulla mattanza dei tonni e sul successivo processo di lavorazione del pesce. Una tradizione arcaica che si manifesta nell’uccisione di pesci che lottano freneticamente per liberarsi dalla “camera della morte” mentre le acque si fanno sempre più scure, perché le foto di List sono in bianco e nero e il rosso del sangue diventa un nero denso. Sul finale della serie, la teoria delle scatolette con il loro packaging vintage prelude a decenni di pesca indiscriminata e di impoverimento dei mari. Altri disastri ambientali si intuiscono nei lavori di Maurizio Montagna (alla Collezione di Zoologia dell’Ateneo), che si è concentrato sull’altrettanto antica tradizione della pesca nei fiumi della Valsesia, un habitat minacciato dalla mano dell’uomo. E ancora alla violenza riconducono gli scatti di Takashi Homma (al Padiglione dell’Esprit Nouveau), che immortala le tracce di sangue lasciate dalla caccia ai cervi sulle montagne dell’Hokkaido, testimoniando d’altra parte come proprio quei poveri resti diano nutrimento agli animali selvatici.
LAVORO UMANO E BIODIVERSITÀ
Il concetto di sostenibilità non riguarda tuttavia solo l’ambiente e gli animali: le fotoinchieste di Ando Gilardi (al MAST) possono essere considerate delle anticipazioni dello sfruttamento del lavoro umano. Condotte negli Anni Sessanta per il sindacato, mostrano le condizioni di lavoro nei campi e nelle industrie, quelle stesse industrie che già nel 1928 producevano in serie piccole miniature in cioccolato e marzapane le quali, sotto l’obiettivo “pubblicitario” di Hans Finsler (a San Giorgio in Poggiale), diventano quasi delle piccole, accattivanti, sculturine. A far da contraltare a una visione critica del sistema industriale alimentare interviene Vivien Sansour (a Palazzo Boncompagni), artista ambientalista impegnata nella salvaguardia dei semi antichi della Palestina, cui è dedicata peraltro una “biblioteca”. Semi che potranno germogliare a tutela della biodiversità, di un’agricoltura sana e di un futuro auspicabilmente più green.
– Marta Santacatterina
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati