30 grandi fotografe in mostra a Forlì
I Musei San Domenico di Forlì ospitano gli sguardi sul mondo di fotografe internazionali: da Lee Miller ad Annie Leibovitz, lungo un arco temporale che dagli Anni Trenta del secolo scorso raggiunge i giorni nostri
Un percorso per immagini firmato da trenta fotografe internazionali conduce il visitatore dei Musei San Domenico di Forlì tra i grandi temi che hanno accompagnato la nostra società dagli Anni Trenta a oggi, passando dalle guerre ai cambiamenti dei costumi, dalla lotta contro le discriminazioni all’affermazione della civiltà dei consumi, dal ruolo della donna nelle diverse culture e tradizioni alle questioni di genere. Gli oltre trecento scatti, attraverso registri che si muovono dalle forme più crude a quelle più liriche, restituiscono con intensità e puntualità la realtà dei tempi nei diversi segmenti storici, sociali ed economici.
Tre sono le sezioni, divise in ordine cronologico, in cui si ripercorrono gli stili e i segni di un secolo. Veri e autentici punti di rottura dai tratti nuovi e moderni, le immagini testimoniano aspetti emblematici e caratteri singolari. In un’evoluzione di narrazioni attente e peculiari, abili raccontastorie hanno riletto le molteplici trame degli eventi del loro presente con forza visiva ed emotiva.
DA DOROTHEA LANGE A EVE ARNOLD
Il racconto si apre sulla crisi economica americana degli Anni Trenta con gli scatti di Dorothea Lange (Hoboken, 1895 – San Francisco, 1965), dove si pone in risalto la dignità delle persone, ma al contempo se ne rivela tutta la disperazione e la difficoltà del vivere quotidiano. Celebri sono le raffigurazioni scattate alla fine della Seconda Guerra Mondiale da Lee Miller (Poughkeepsie, 1907 – Chiddingly, 1977) all’interno dell’appartamento di Hitler a Monaco di Baviera. Ipnotica la serie Reflections dell’austriaca Lisette Model (Vienna, 1901 – New York, 1983), che analizza il tema del consumismo statunitense lungo le strade di New York, indagando il rapporto con i cittadini attraverso i riflessi creati sulle vetrine dei negozi. Le merci e gli edifici si fondono e confondono con le persone che passeggiano, in un insieme che diventa surreale e documentario. Chiudono la prima sezione le fotografie del periodo messicano di Tina Modotti (Udine, 1896 – Città Del Messico, 1942) con i lavoratori all’opera o in corteo secondo i dettami iconografici socialisti e le sfilate ad Harlem delle donne afro-americane di Eve Arnold (Philadelphia, 1912 – Londra, 2012), nelle quali la Arnold esce dall’estetica patinata della fotografia di moda del periodo, riportandone invece i momenti spontanei dietro le quinte, la preparazione prima dello spettacolo e l’attesa del pubblico.
DA INGE MORATH AD ANNIE LEIBOVITZ
Nella seconda sezione, Anni Sessanta-Ottanta, l’obiettivo delle fotografe rileva e scandaglia i rivolgimenti e cambiamenti sociali e di costume. Nella serie Mask, nata dall’incontro tra l’austriaca Inge Morath (Graz, 1923 – New York, 2002) e il disegnatore Saul Steinberg, i due artisti trasformano i soggetti in caricature di una società, quella americana del boom economico che nasconde i propri tumulti sotto la fragile maschera della prosperità e del progresso. Graciela Iturbide (Città del Messico, 1942) mostra la comunità matriarcale di Juchitan, in Messico, con donne che posano fieramente in tutta la loro corporeità, regalando allo spettatore sprazzi di vita pubblica e privata per un reportage, in bilico fra realtà e mito, unico, surreale e magico.
Il realismo più veritiero e cruento di Letizia Battaglia (Palermo, 1935) nelle immagini degli omicidi di mafia si affianca alle iconiche rappresentazioni delle bambine di Palermo. Carla Cerati (Bergamo, 1926 – Milano, 2016), con la serie di immagini tratte da Mondo cocktail, cattura la nascente borghesia nella città di Milano che si divide tra party e salotti e si popola di donne eleganti e di personaggi vistosi ed eccentrici. Con la serie del 1965 dedicata alla comunità di travestiti che aveva occupato l’ex ghetto ebraico di Genova, Lisetta Carmi (Genova, 1924) tratteggia in suggestivi scatti in bianco e nero la vita dei protagonisti, mostrando con intimità e simpatia momenti quotidiani tra gli arredi barocchi delle case e le passeggiate tra le vie del ghetto. Nella straordinaria edizione del Calendario Pirelli 2016, Annie Leibovitz (Waterbury, 1949) ritrae donne di spicco in vari settori, dall’imprenditoria allo sport, dalla musica al cinema, realizzando un impianto scenico semplice con un set essenziale, dove le uniche attrici sulla scena sono le protagoniste con la loro presenza.
DA ZANELE MUHOLI A CRISTINA DE MIDDEL
Nell’ultima sezione dedicata agli anni tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo la lente si sofferma sulle culture extra-occidentali e sulle loro coraggiose “rivoluzioni”. I ritratti dell’iraniana Newsha Tavakolian (Tehran, 1981) delle donne guerrigliere delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), che vivono e combattono nella giungla, riflettono la violenza dei conflitti e l’incertezza verso il futuro per una normalità auspicata, ma lontana.
Le fotografie di Nanna Heitmann (Ulm, 1994) ritraggono le storie degli abitanti sulle rive dello Yenisei, il grande fiume siberiano ai confini con la taiga, attraverso uno sguardo delicatamente onirico, che trasforma questi luoghi sospesi in leggende e in metafore di libertà, di sogno, di desolazione e di abbandono. Già protagonista della Biennale di Venezia nel 2019, Zanele Muholi (Umlazi, 1972) esprime se stessa utilizzando parrucche, corone e costumi, accentuando il colore della propria pelle grazie a un bianco e nero dai toni profondi e rivendicando attraverso il proprio corpo la sua esistenza di donna e fotografa. Shadi Ghadirian (Tehran, 1974) racconta le donne iraniane nella serie Qajar del 1998, grazie a un’ironica riflessione sulla situazione femminile nell’Iran contemporaneo: in un gioco di riappropriazione di un’iconografia anacronistica, inserisce nella scena una sequela di elementi esplicitamente fuori contesto, come un’aspirapolvere, una mountain bike o una reflex. Infine Cristina de Middel (Alicante, 1975), con il suo Afronauts, un progetto a metà tra riproduzione e finzione del primo programma spaziale non ufficiale portato avanti in Zambia, mette in scena bizzarre visioni impersonate da uomini vestiti con paradossali e stravaganti equipaggiamenti astronomici.
‒ Silvia Papa
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