Morta la fotografa Chiara Samugheo. Aveva 86 anni
Il cognome, Samugheo, preso da un paese della Barbagia. La fotografia a scopi pedagogici e sociali. Il rapporto col cinema, il tarantismo salentino. Un ritratto di Chiara Samugheo
Quando ho curato l’ultima edizione della Biennale Donna di Ferrara ho pensato di proporre una mostra sulle fotografie che avevano operato in ambito sociale tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta. Tra le autrici proposte Chiara Samugheo, scomparsa in questi giorni a 86 anni. Nonostante il suo lavoro, anche in questi momenti della sua scomparsa, sia collegato soprattutto al cinema, ai ritratti delle dive, mi piaceva proporre la parte meno conosciuta e più impegnata della sua significativa ricerca.
CHI ERA CHIARA SAMUGHEO
Chiara era nata a Bari nel 1935 con il cognome Paparella. Ragazza aveva deciso di dedicarsi alla musica contro il volere della famiglia, che vuole per lei un avvenire sicuro, maestra elementare. La giovane si ribella, la Puglia di quegli anni è un ambiente chiuso e già nel 1953 si trasferisce a Milano, una città piena di stimoli di personaggi interessanti che prende di lì a poco a frequentare. A Milano impara a fotografare alla “scuola” del grande Federico Patellani. Poi la grande svolta della vita, la conoscenza con il sardo Pasquale Prunas, grafico, illustratore, editore, fondatore della rivista culturale Sud, di una decina di anni più vecchio di lei, che sarebbe diventato il suo compagno. In questi anni anche Chiara sarebbe diventata Samugheo, in omaggio a un paese della Barbagia. Prunas la coinvolge nella redazione de Le Ore, una rivista appena fondata che si occupa di attualità cinematografica e culturale. Nel 1955 la rivista Cinema nuovo, diretta da Guido Aristarco, con il quale Samugheo condivide l’idea di una fotografia utilizzata a scopi pedagogici e sociali, pubblica con il titolo Le invasate il suo ampio fotoreportage sul tarantismo salentino, realizzato a Galatina nel 1954. Il testo di accompagnamento è di Emilio Tadini.
CHIARA SAMUGHEO: IL TARANTISMO E GLI STATI UNITI
I parenti delle tarantolate, generalmente chiusi a ogni ingerenza esterna, le permettono di realizzare le foto, perché non ne comprendono la portata e la scambiano per una turista appassionata di folklore. In fondo una donna bellissima, raffinata, elegante, non poteva costituire un pericolo. Samugheo non va ricordata solo come la fotografa delle dive, è stata un’idealista, una donna libera, che ha tentato di migliorare il mondo anche attraverso la fotografia: “Con le mie foto volevo contribuire a fare rinascere il Paese. Immaginavo che le botteghe diventassero industrie di cui essere tutti orgogliosi e che le informazioni potessero scorrere veloci, capaci di sfamare quanti avessero bisogno di approcci culturali per proiettarsi verso vite importanti”. Nella mostra ferrarese ho messo i suoi lavori di questi primi anni. I suoi reportage sui fenomeni magico – religiosi e di denuncia sociale dell’Italia del Sud: i tarantati pugliesi, appunto, le baraccopoli napoletane, le zingare in carcere. In seguito, avrebbe fotografato anche negli Stati Uniti, interessata ancora una volta agli ultimi, alle minoranze. Anche in seguito Chiara non è stata una semplice ritrattista, le sue foto che prendono le mosse da questo contesto, intendono, tuttavia, restituire al corpo-oggetto delle dive una femminilità e una personalità reali, in contrapposizione all’ambiente effimero costruito intorno ai loro corpi.
–Angela Madesani
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