Il viaggio in Italia di Ghirri e Celati tra ieri e oggi

Un racconto al presente che trae spunto dal “Viaggio in Italia” fotografato da Luigi Ghirri e narrato da Gianni Celati negli Anni Ottanta

Il sentiero è una striscia di fango calpestata da altri passeggiatori, costeggia il canale che irriga le risaie più a sud. Siamo in fila indiana e Mattia trascina la sua bici a mano, sovrappensiero, è finita l’estate. Ci supera una coppia col cane che fiuta lungo i bordi del canale, forse sente i ranocchi. La città è appena alle spalle a dire il vero, ma le spighe sono così alte, e già non si vede più. Non sappiamo dove finisce il campo, quello che appare lungo la linea dell’orizzonte, in pianura, sembra sempre estendersi all’infinito. Jonathan e Mattia sono nati qui, aprono la strada sferrando colpi all’aria con dei rami, ci raccontano delle cascine diroccate e quelle convertite in agriturismi o piccole fabbriche. “Un tempo questa era tutta una zona agricola, c’erano solo cascine” dicono, anche se sono troppo giovani per ricordarselo. È una passeggiata malinconica perché sappiamo che la stagione è finita, ma la natura intorno a noi a un’atmosfera inevitabilmente autunnale mischia ancora segni di una resistenza estiva, un certo cicalio di sottofondo e questo strano aspetto ovattato degli alberi e dei cespugli. Una ragnatela bianca ricopre come neve la nostra passeggiata.

Canale Ticinello. Photo Arianna Tremolanti

Canale Ticinello. Photo Arianna Tremolanti

GHIRRI E CELATI IN ITALIA

Sono i primi Anni Ottanta, l’immagine dell’Italia è profondamente mutata e Luigi Ghirri, con altri fotografi della sua generazione, ne proporrà a breve una rappresentazione destinata a diventare pietra miliare per la storia della fotografia. Proprio per volere di Ghirri allo scrittore Gianni Celati è chiesto di accompagnare i fotografi in un tour attraverso il Paese. Iniziano così mesi di vagabondaggio per la valle del Po, si va in corriera, a piedi, tra pernottamenti casuali e arrangiati. Ghirri e i colleghi fotografi scattano soggetti senza posa, seguendo gli umori dei paesaggi, le voci che incontrano lungo la strada, e così fa Celati al loro seguito, che riempie quaderni di appunti di storie colte per pochi istanti. Lo sguardo fotografico di Ghirri trova un sodalizio letterario nei ‘racconti d’osservazione’ di Celati, entrambi in cerca di una poetica del già visto, la qualsiasità cinematografica di Zavattini, che si posiziona nel rifiuto delle seduzioni imperanti del visivo. Come gli scatti del Viaggio in Italia, lo stile di Celati si fa nebbioso, lento, padano. Ma la qualsiasità, “quella palude in cui sembra sprofondare il pensiero” (M.  Belpoliti, Viaggio in Italia in Doppiozero, 13 luglio 2012) non riguarda solo la scelta dei soggetti, ma soprattutto il moto incarnato nello sguardo con cui i due carpiscono i dati del visibile, più simile a un errabondare incerto che a un’occupazione stanziale. È ciò che Ugo Fracassa definisce uno sguardo sostenibile (Cfr. U. Fracassa, Il testo visibile, Giulio Perrone Editore, 2021), che sfiora appena gli oggetti attraverso “il vedere figurato della mente, non più vero né più illusorio del vedere retinico”, confinato all’opposto su una dimensione superficiale, tutto volto a un afferramento dell’oggetto di tipo predatorio. Lo sguardo ‘insostenibile’ produce visioni dai contorni netti, letteralmente risolute nel proprio intento e nella definizione. Questa risolutezza ha la presunzione di mostrare gli oggetti con invadenza descrittiva, “un’oggettività categorica propria del realismo o del naturalismo” (G. Celati, Quando ho visto ‘Nel corso del tempo’, in Gianni Celati, a cura di M. Belpoliti e M. Sironi, “Riga”, 28, pp. 124), in un investimento non dissimile da quanto vi opera il capitalismo secondo Fisher: il dato di fatto, lo scheletro oltre il quale non si può più grattare, giunti al momento in cui there is no alternative. Tuttavia, come il realismo capitalista è artefatto e ingannevole, ancora una volta, né più né meno di qualsiasi altra ideologia, altrettanto lo sono le immagini risolute, dietro alle quali si cela un dispendio tecnologico e di effetti speciali da cui solo possono emergere. Il vincolo a una sfera economica insostenibile sta così in tutta la filiera produttiva delle visioni risolute. Sta nella ricezione finale come possibilità di consumo illimitato che solo immagini dalla sbandierata disponibilità interpretativa e percettiva possono offrire; sta nel mezzo, per i mezzi con cui tali visioni possono essere raggiunte, e sta all’origine, nei dati stessi, nei soggetti rappresentati: “Al mattino presto in queste pianure la luce è tutta assorbita dai colori del suolo. C’è un vapore azzurrino che fa svanire le distanze, e oltre un certo raggio si capisce soltanto che le cose sono là, disperse nello spazio. È col sole alto e la luce netta che cominciano a vedersi grandi separazioni, i tagli di luce e ombra fanno apparire forme desolate su tutti i muri, pezzi d’asfalto, siepi o cartelli ai margini d’un movimento generale di traffici e vendite” (G. Celati, Verso la foce, Milano, Feltrinelli 1989, p. 78).

Hyphantria cunea su pioppo. Photo Arianna Tremolanti

Hyphantria cunea su pioppo. Photo Arianna Tremolanti

LA REALTÀ VISTA DA CELATI E GHIRRI

Al modello spettacolare tipico dell’estetica del cinema industriale, in cui nulla è abbastanza interessante finché non si interviene con un trucco, Celati e Ghirri ne oppongono uno che rispetta la realtà in quanto non vuole spiegarla, ma si accontenta di presentare il mondo esterno come fenomeno, come serie di apparenze sfuggenti e particolari, antitotalitarie, “così come ci appare nelle percezioni quotidiane qualsiasi” (G. Celati, Sul cinema italiano del dopoguerra mezzo secolo dopo, ne Il cinema di Gianni Celati, a cura di N. Palmieri, Roma, Fandango, p. 23).
Oggi una ragnatela bianca ricopre come neve la nostra passeggiata lungo il canale del Ticinello, alle porte di Milano. È una ragnatela di ovatta, imbozzola tutti gli alberi come mummie spettrali nella giornata silenziosa di fine estate. Ma poi non possiamo più restare attoniti nell’incanto della visione. E scopriamo che il velo bianco sotto cui camminiamo è opera di un bruco infestante nordamericano, arrivato nella pianura padana, anche lui, alla fine degli Anni Ottanta, con l’aumento delle temperature medie globali. È chiamato Falena tessitrice e scheletrizza e devasta tutte le specie vegetali che incontra. Essendo una specie alloctona, non ha predatori naturali e può essere contrastata solo con l’impiego di pesticidi chimici. I bruchi insostenibili restavano bellissimi, mentre distruggevano ogni cosa.

Arianna Tremolanti

Articolo elaborato nell’ambito del corso di Critical Writing, Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a.a. 2021/2022

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Arianna Tremolanti

Arianna Tremolanti

Arianna Tremolanti (Roma, 1994) è una curatrice indipendente. Laureata in lettere moderne all’Università di Roma Tre, attualmente frequenta il biennio in Arti visive e studi curatoriali presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. La sua ricerca…

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