I dimenticati dell’arte. Giuseppe Loy, il fotografo del boom

L’Italia degli Anni Cinquanta e Sessanta e del Miracolo Economico è la protagonista assoluta degli scatti di Giuseppe Loy, fotografo scoperto solo dopo la sua morte

Il suo mestiere era quello di dirigente in una ditta di costruzioni, ma la sua vera passione era la fotografia. Per trent’anni è stato accompagnato dalla sua fedele Leica, grazie alla quale ha scattato più di 70mila immagini, per raccontare l’Italia degli Anni Cinquanta e Sessanta, dalla ricostruzione postbellica alla dolce vita.

Giuseppe Loy, Atelier Lucio Fontana, Milano, 1966. Courtesy Fondazione Loy

Giuseppe Loy, Atelier Lucio Fontana, Milano, 1966. Courtesy Fondazione Loy

LA STORIA DI GIUSEPPE LOY

Giuseppe Loy (Cagliari, 1928 ‒ Roma, 1981) era curioso di tutto, dalle famiglie che affollavano le spiagge la domenica agli atelier degli artisti d’avanguardia come Afro e Alberto Burri. Maestro del bianco e nero, sapeva cogliere con precisione e ironia le trasformazioni di un Paese che stava cambiando, soffermandosi sulle rughe di un volto, la posa di un bagnante, la malinconica poesia di un manifesto strappato, nonostante fosse un autodidatta. Nato a Cagliari da Guglielmo Loy Donà e Anna Sanjust, a dieci anni Giuseppe segue la famiglia nella Capitale, dove trascorre tutta la vita. Si laurea in giurisprudenza ed entra a lavorare come commesso in un negozio di stoffe: a ventisei anni sposa Rosetta Provera (la scrittrice Rosetta Loy), mentre dal 1953 al 1957, grazie all’appoggio del fratello maggiore Nanni, diventato regista, lavora nel cinema per la Scalera film, come segretario di edizione e direttore di produzione. Giuseppe metteva annunci sui giornali per cercare “uomini di ogni età, totalmente calvi” per essere scritturati in pellicole come Guerra e pace (1956) di King Vidor o La Grande Strada Azzurra di Gillo Pontecorvo (1957).

Giuseppe Loy, Roma, Piazza Navona, 1964. Courtesy Fondazione Loy

Giuseppe Loy, Roma, Piazza Navona, 1964. Courtesy Fondazione Loy

GIUSEPPE LOY E LA FOTOGRAFIA

Ed è proprio dalla fine degli Anni Cinquanta che Loy comincia a esercitare la sua passione per la fotografia, in maniera timida e mai spettacolare, con scatti rubati tra gli ombrelloni delle spiagge del litorale romano o nei vicoli del centro di Roma, per ritrarre un’umanità semplice ma ancora autentica: la stessa che aveva affascinato Pier Paolo Pasolini o Elsa Morante.
Non immagini costruite, ma piuttosto “appunti visivi” che messi insieme raccontano un occhio fotografico vicino alle cose e lontano da ogni forma di artificio visivo: non è un caso che nel 1968 Giuseppe si sia iscritto al Partito Comunista, per avviare un’attività politica rivolta soprattutto alla formazione di centri culturali nell’Italia meridionale. Pochi i riconoscimenti in vita per il Loy fotografo: alcune foto esposte negli Anni Sessanta e Settanta alla Libreria Einaudi e allo spazio culturale Il Politecnico, mentre nel 1979 espone alla galleria Il Segno. Le cose vanno un po’ meglio dopo la sua morte, causata da un infarto nel 1981: altre due personali alla galleria Il Segno (1983 e 2004) e una alla galleria Sulcis a Cagliari nel 2014. A portare sotto i riflettori l’opera fotografica di Loy è stata l’antologica Giuseppe Loy. Una certa Italia. Fotografie 1959-1981, curata da Chiara Agradi e Angelo Loy a Palazzo Barberini nel 2021 (catalogo Drago), che per la prima volta ha permesso di valutare il talento di un grande e appartato interprete del “miracolo italiano”, che avrebbe meritato un riconoscimento meno tardivo. L’archivio di Giuseppe Loy, curato dal figlio Angelo, è consultabile online.

Ludovico Pratesi

www.fondazioneloy.com

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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