Il fotografo-filosofo Hans Georg Berger in mostra a Milano
Il grande fotografo, filosofo e scrittore tedesco Hans Georg Berger è alla sua prima mostra personale italiana. Più di trenta scatti in bianco e nero nella Galleria 29 Arts in Progress di Milano raccontano una carriera straordinaria e una illuminante apertura nei confronti del mondo e dell’altro
La fotografia come necessità, come forma di dialogo e di comprensione del mondo: l’universo fotografico di Hans Georg Berger (Treviri, 1951) è filosofico, di una grandissima delicatezza e di una inevitabile nostalgia. La grana grossa delle oltre trenta fotografie in mostra alla Galleria 29 Arts in Progress di Milano ‒ un dono della stampa ai sali d’argento e della carta baritata ‒ acuisce questa sensazione di sconfinata e mistica ricerca della verità, di desiderio di intimità e al contempo di placida rassegnazione di non poter abbracciare tutto il reale.
Berger ci prova comunque: “Seguo l’intuito”, spiega, “sempre con riflessione e meditazione. Non c’è una sola fotografia, qui, che possa essere chiamata snapshot”.
LE FOTOGRAFIE DI HANS GEORG BERGER IN MOSTRA A MILANO
Lo sguardo dell’autore, filosofo ed esperto di studi sulle religioni, è caratterizzato da una grande calma e da un rispetto che non è la distanza ideale teorizzata da Capa ma un lento avvicinamento umano al proprio interlocutore. Questo emerge con sorprendente chiarezza nei lavori connessi agli anni di studio e lavoro nel Sud Est asiatico, in qualità di artista e professore universitario, per cui ha sottoposto il suo sguardo a una sistematica decolonizzazione: “È un’opera di de-costruzione, così come la intendeva Foucault: ho cercato di applicare un metodo filosofico alla fotografia”, racconta Berger ad Artribune.
Un’attitudine che contrasta con la velocità imposta da internet e dalle sempre nuove macchine digitali: “Fare una fotografia è… molto facile. La questione è dov’è il punto, dove questi scatti hanno un significato che va oltre il ricordo personale. Stando a un collega giapponese, nel mondo vengono scattate due miliardi di immagini al minuto. Miliardi! Agli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bangkok ho detto il primo giorno: ‘Dovete arrivare a un punto per cui ogni scatto è necessario, ha una ragione’. Per me questa ragione è la condivisione, il dialogo”. Un ponte, insomma, per parlare di antropologia e arte, ed entrare nel profondamente umano: così ha assistito ‒ dopo settimane di preparazione ‒ ai privatissimi riti di vestizione dei monaci del Laos e alla cerimonia d’elezione del piccolo Naga buddista (tutto in mostra a Milano), così ha ridato vita al cavalletto di Balthus e condiviso una profonda intimità con persone d’ogni latitudine, grazie anche a una vicinanza spirituale con il proprio apparecchio fotografico.
LA RIFLESSIONE SULL’IO DI HANS GEORG BERGER
La mostra ‒ accompagnata da un volume prezioso realizzato con il MUSEC di Lugano, nato da una grande mostra voluta dal direttore Francesco Paolo Campione ‒ è la prima retrospettiva italiana dedicata al fotografo, scrittore e filosofo. Sono cinquant’anni che Berger legge la realtà, anche grazie a esperienze straordinarie come l’apertura di un circolo di intellettuali sull’Eremo di Santa Caterina, all’isola d’Elba, o il sodalizio con lo scrittore e fotografo Hervé Guibert: con lui ha realizzato il meraviglioso Un amor photographique, in cui non è ben chiaro chi riprenda chi, con mani e piedi che spuntano dall’inquadratura creando una fertile confusione. “Abbiamo studiato cosa fosse veramente il ritratto ‒ un tema di cui sembrava essere stato detto tutto ‒ e cosa fosse l’autore, dove finisse uno e cominciasse l’altro: abbiamo confuso i piani”. La ridiscussione del sé appare come una fondamentale necessità oggi, ancora più di ieri. Ci troviamo nel pieno dell’iper-saturazione dell’io: “È importante fare un passo indietro, guardare cosa dicono gli altri. Credo che abbiamo portato avanti troppo, nella nostra civilizzazione, il concetto dell’io. Basta pensare al Buddismo, in cui l’io è completamente negato: ci sono solo continui cambiamenti. Questa pretesa che l’io sia certo e immutabile è una forzatura culturale incredibile che ci fa male. È utile guardare diverse Weltanschauung, come hanno fatto anche i grandi mistici del passato, inclusi quelli cristiani, anche per non farsi strumentalizzare”. Allora come trova posto in un universo in costante movimento la cristallizzazione dell’istante in una fotografia, e perché ci emoziona? “È un enorme mistero. A questo ancora non ho trovato risposta”, afferma Berger sorridendo.
– Giulia Giaume
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