Fotografo, dandy e allergico agli stereotipi di genere: intervista a Iké Udé

Autore di scatti che, fin dagli Anni Novanta, mettono in discussione le granitiche distinzioni di genere, Iké Udé è autore di una ricerca che affonda le radici nell’identità africana

L’opera fotografica di Iké Udé (Lagos, 1964), nigeriano di nascita e newyorkese di adozione, dà vita all’immagine di un artista in svariate forme. I suoi lavori sono presenti nelle collezioni di istituzioni come il Guggenheim Museum, mentre alla Smithsonian Institution è attualmente in corso la mostra Iké Udé: Nollywood Portraits. Il seguente dialogo è incentrato su alcuni dei temi principali che Udé indaga con la sua poetica: la natura malleabile delle norme culturali, le ambiguità del mondo dell’arte, lo stile come atto di liberazione dell’immaginazione e il costante miglioramento dell’immagine dell’Africa per il mondo.

Iké Udé, Autoritratto. Courtesy dell’artista

Iké Udé, Autoritratto. Courtesy dell’artista

INTERVISTA A IKÉ UDÉ

Il tuo primo lavoro importante è stato Cover Girls (1994). In questa serie, ogni fotografia imita la copertina di una popolare rivista di moda o di lifestyle in cui appari come modello. A prima vista, ogni fotografia sembra una copertina autentica. Nelle opere, una certa femminilità si lega con tratti maschili, e la tua figura diventa asessuata. Di fatto, il tuo aspetto rende futile il nostro tentativo di classificarti come uomo o donna, gay o etero, secondo le definizioni occidentali di questi termini.
Questa è una lettura abbastanza precisa del mio atteggiamento nei confronti di tassonomie identitarie inutilmente rigide, prive di humour e noiose. Mi considero al di sopra della mischia rispetto a questioni simili, dato che non sono problemi e non dovrebbero esserlo.

Pensi che le identità fluide dei personaggi che animi in Cover Girls precedano la crescente consapevolezza delle identità non binarie?
Il paradosso è che il non binario è esso stesso un’identità esplicita di genere/sessuale, per quanto finga di non esserlo. La mia serie Cover Girls non era né dogmatica né urlata. Era costruita con umorismo, sfrontatezza, analisi e curiosità intellettuale. Il clamore e il furore di oggi riguardo al non binarismo sono una tendenza praticata con religiosità talebana. Se si sta bene nella propria pelle, non ci si dovrebbe affatto preoccupare se gli altri non sono d’accordo con le nostre scelte.

La tua serie Sartorial Anarchy (2010-13) si compone di diversi autoritratti nei quali combini vari elementi dell’abbigliamento maschile per creare un insieme di look sorprendenti ma armoniosi. Mostri la mascolinità come un concetto nel tempo e nello spazio, variando tra l’espressione di violenza e l’eleganza da gentiluomo, e riveli che questi vari aspetti possono coesistere.
Per formare un tutto sono necessarie diverse e variabili parti in contraddizione. Questo è l’ordine naturale delle cose. E le riconciliazioni armoniose di queste contraddizioni sono un enorme piacere per la ricreazione della mente.

Iké Udé, Sartorial Anarchy #21, 2013, pigmento su carta satinata, 116.1 x 92.71 cm. Courtesy dell’artista

Iké Udé, Sartorial Anarchy #21, 2013, pigmento su carta satinata, 116.1 x 92.71 cm. Courtesy dell’artista

L’ARTE E LO STILE SECONDO IKÉ UDÉ

Attraverso il tuo stile personale unico e i personaggi artistici che crei, incarni la figura di un dandy del XXI secolo. Cos’è per te lo stile?
Al di sopra di tutto, lo stile è una modalità di sovranità individuale!

Come vedi il tuo ruolo di dandy all’interno del movimento segnato da pionieri come Oscar Wilde, che hanno usato lo stile come atto creativo per mettere in discussione le norme dei loro tempi?
È una tradizione, una disciplina, una pratica, una passione nobile e nobilitante, eroicamente emancipatrice che sono felice di continuare sia nella mia vita sia nella mia arte che sono intrecciate. E, così facendo, ispiro le giovani generazioni.

Iké Udé, Town & Country, 1994, stampa C Print, 25,5 x 28 cm. Courtesy dell’artista

Iké Udé, Town & Country, 1994, stampa C Print, 25,5 x 28 cm. Courtesy dell’artista

LA BANALITÀ DEL MAINSTREAM

Cover Girls critica la stereotipizzazione operata dai media e il sistema dell’arte nei confronti delle persone di colore e nazionalità “esotiche”. Fino a che punto l’arte ha contribuito agli stereotipi piuttosto che sovvertirli?
Gli artisti di origine africana non hanno l’equivalente delle istituzioni culturali occidentali. Perciò la maggior parte degli artisti africani – della diaspora o continentali – non hanno la possibilità di essere profondamente indipendenti per perseguire visioni individuali innovative. Attualmente, anche uno sguardo superficiale rivela che gli artisti global-africani stanno rielaborando e producendo nelle loro opere le immagini caricaturali usate in passato dall’Occidente per degradare e disumanizzare il popolo africano.

Per quanto oggi si veda più diversità, le opinioni delle minoranze in contrasto con la “narrazione ufficiale” vengono ostacolate ed escluse.
Una parvenza di cambiamento non equivale a un cambiamento. Perciò, sì, la falsa universalità che avevo denunciato in Cover Girls è ancora presente in entrambi i sistemi, ma sotto una veste diversa. E questo non è necessariamente una cosa negativa. Dopotutto, forse non è una questione morale, ma piuttosto un problema di potere a cui si può porre rimedio con un atteggiamento competitivo. Perché gli africani non possono costruire istituzioni parallele per rivaleggiare con l’Occidente, invece di lamentarsi di essere emarginati? Nel migliore dei casi, un modo equo e sofisticato di procedere è l’uguaglianza delle opportunità, non l’uguaglianza dei risultati. L’uguaglianza dei risultati genera mediocrità, letargia intellettuale, appiattimento – in breve, la fine della civiltà, della bellezza, della meraviglia, dell’ispirazione, della motivazione.

Iké Udé, Vogue, 1994, stampa C Print, 25,5 x 28 cm. Courtesy dell’artista

Iké Udé, Vogue, 1994, stampa C Print, 25,5 x 28 cm. Courtesy dell’artista

NOLLYWOOD PORTRAITS: IL NUOVO VOLTO DELL’AFRICA

Vent’anni dopo Cover Girls, hai prodotto Nollywood Portraits. Questa serie presenta ritratti stilizzati di attori, attrici e produttori cinematografici di Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana e la seconda più grande del mondo. La composizione delle opere suggerisce sia un elogio a Nollywood sia una mitizzazione. Tutto, dall’eleganza delle figure all’uso di oggetti che evocano l’antico Egitto, e i colori brillanti e saturi, crea un’immagine di splendore che sovverte qualsiasi nozione dell’Africa come continente retrogrado. Cerchi di ottenere una bellezza onnicomprensiva per provocare una trasformazione negli spettatori, che è anche il prerequisito per il cambiamento sociale?
È così. Indipendentemente dal contesto, dal contenuto, dalle credenze, dalla politica, dalle teorie o da qualsiasi altra cosa, l’immagine deve funzionare. Perché un’immagine funzioni, si deve avere un’organizzazione armoniosa degli elementi visivi in direzione del bello.

Edoardo Ghizzoni
traduzione di Anna Albano – aha! Translations

Washington DC
Iké Udé: Nollywood Portraits
fino al 28 febbraio 2023
SMITHSONIAN INSTITUTION
National Museum of African Art
950 Independence Ave., SW
https://africa.si.edu/

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Edoardo Ghizzoni

Edoardo Ghizzoni

Edoardo Ghizzoni (1992) vive a Milano. Ha precedentemente vissuto a Londra, Singapore, Varsavia, Istanbul e Monaco di Baviera. Laureatosi in letteratura inglese all'Università di Exeter, si occupa di pubblicazioni dedicate a protagonisti della scena culturale internazionale.

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