Là dove la fotografia cambia, e rimane la stessa: reportage dagli headquarter di Leica

Tra il mitico stabilimento, gli archivi, il museo e l'Oskar Barnack Award, la casa tedesca dello storico brand di fotografia è un monumento all'arte dello scatto. Con una sorpresa che sa di ritorno alle origini

Visti frontalmente, appaiono come moderni edifici di acciaio e vetro, spiccatamente geometrici. Dall’alto, due obiettivi gemelli, l’occhio costantemente rivolto al cielo. La casa madre di Leica, poco fuori dal delizioso centro abitato di Wetzlar, a un’ora di macchina da Francoforte, è un “villaggio della fotografia”, a tratti un parco giochi per gli amanti dell’ottava arte. Questo ritorno nella città di nascita del marchio – qui Ersnt Leitz fondò la Leica (da Leitz + Camera) nel 1869 – si inserisce in una più ampia poetica di ritorno alla tradizione. Sulle pareti del bar dello sperduto Leitz Park campeggiano gli scatti del mitico meccanico-fotografo Oskar Barnack, su quelle del Customer Care Centre i modelli di macchina che hanno fatto la storia del brand e della fotografia, nell’albergo e nel museo le citazioni di fondatori e maestri. Il tutto immerso in una area ex militare acquisita nel 2014 per i cent’anni di Leica fotografia e ampliata nel 2018.

IL LEITZ PARK DI LEICA A WETZLAR

Fulcro del polo di Wetzlar – a pochi minuti dall’omonimo paese in cui Goethe ambientò il suo Werther – è la fabbrica, un gioiello d’artigianato industriale e coacervo della tecnologia tedesca su più poli. Il polo produttivo fotografico (uno dei due di Leica, oltre a quello di Porto), infatti, produce qui elementi, macchinari, programmi: ogni cosa per mettere al centro la lente, vero tesoro del brand. Il processo è complesso, prevede ore di limatura millimetrica (considerate che spesso parliamo di lenti asferiche, quindi difficilissime da realizzare), lucidatura con spugne naturali della Grecia e una mistura abrasiva segreta, oltre a una costante correzione con ologrammi. In totale ci sono circa 30 step per ognuna delle otto-dieci lenti (di media) che compongono un obiettivo. Tra stanze pressurizzate per non far entrare la polvere e picchi di consumi energetici che uguagliano quelli dell’aeroporto di Zurigo – letteralmente, e per una macchina alimentata a gas russo –, la fabbrica evoca un ambiente futuribile e kubrickiano.

Leitz Park Wetzlar

Il Leitz Park vanta anche un archivio e un museo, gemmato dal centro di accoglienza dove sono conservati tutti i modelli che hanno fatto la storia del brand, dai primi apparecchi fino al digitale, e i grandi scatti realizzati con gli stessi. Il museo è diviso idealmente in due parti: una è dedicata alla ricostruzione della storia della famiglia Leitz e della fabbrica, e alle conquiste di Oskar Barnack (1879-1936), mentre l’altra è più didattica (e divertente). A partire dalla finestra a forma di obiettivo Noctilux, che si apre e si chiude avvicinandosi, segue una sezione che comprende dei pannelli con cui imparare a sviluppare i rullini, a mo’ di camera oscura; provare le combinazioni delle lenti per ottenere un’immagine a fuoco; distinguere i suoni dei diversi otturatori; e studiare luce ed esposizione grazie a dei set fotografici. Dietro il museo, il prezioso archivio: qui sono conservate tutte le macchine fotografiche prodotte dall’azienda, tranne quelle custodite nelle cassette di sicurezza e quelle vendute quando è stato rischiato il crack negli anni Novanta (con conseguente grosso investimento della maison di moda Hermès e il successivo passaggio delle quote alla famiglia Kaufmann).

Promises Written on the Ice Left in the Sun © Kiana Hayeri

Promises Written on the Ice Left in the Sun © Kiana Hayeri

L’OSKAR BARNACK AWARD 2022 DI LEICA A KIANA HAYERI

Il 20 ottobre si è tenuta la 42esima edizione dell’Oskar Barnack Award, il premio fotografico che vanta la più lunga tradizione di un medesimo tema, ossia il rapporto tra l’essere umano e l’ambiente. Il premio è dedicato a quel geniale Barnack che creò una nuova tipologia di macchine fotografiche usando la pellicola 35 mm da riprese cinematografiche, e dando vita al “formato Leica”: un atipico 24 X 36 che per molti segna la nascita della fotografia moderna.

Between the Years © Goppel Valentin

Between the Years © Goppel Valentin

Per il 2022, è stata selezionata tra una rosa di 12 candidati – che vedeva incluso anche l’italiano Alessandro Cinque – la fotografa iraniano-canadese Kiana Hayeri e il suo progetto Promises Written on the Ice, Left in the Sun. Nata in Iran nel 1988, la fotografa è cresciuta a Toronto, ma vive in Afghanistan da più di otto anni: qui ha lavorato a questo progetto, incentrato sulle drammatiche conseguenze subite dalle donne dopo il ritiro occidentale dal Paese nel 2021. “Il nome del progetto viene da un proverbio dari”, racconta Hayeri. “Vent’anni dopo l’invasione americana, avevano messo le donne al centro del processo di smilitarizzazione senza coinvolgerne nemmeno una. Molte donne, quelle che avevano studiato, se ne sono andate nei Paesi confinanti o in Occidente, lasciando sole quelle che erano rimaste. Il problema non sono i Talebani, né i guerriglieri: è il sistema patriarcale”. Hayeri – avvicinatasi alla fotografia anche per comunicare con i suoi pari canadesi, prima di imparare l’inglese – è stata per questo progetto all’interno della prigione di Herat, ha tracciato gli attacchi kamikaze seguendo le famiglie in lutto e fotografando i luoghi degli attentati, e ha documentato le aggressioni alle donne sia fisiche (per esempio con l’acido) sia economiche (come per i licenziamenti delle poliziotte). Allo stesso tempo si è sforzata di ribaltare alcuni stereotipi sul Medio Oriente, mostrandone la normalità nascosta con dei giovani che scherzano insieme e delle ragazze a una festa. Premiato anche il newcomer Valentin Goppel, che ha documentato i suoi coetanei nel mezzo della pandemia. Classe 2000, Goppel ha raccontato gli effetti del coronavirus sulla sua generazione, tra l’ironico e il fotogiornalistico, usando la macchina fotografica per orientarsi nella disgregazione di ogni punto di riferimento. Un progetto sfaccettato dai tratti quasi intuitivi, racconta, che “mi ha permesso di mettere molto di me dentro quello che ho fatto. È completamente diverso da altri lavori fotogiornalistici che ho realizzato, come quello alla frontiera polacca dello scorso gennaio”.

Leica M6

Leica M6

IL GRANDE RITORNO DELLA FOTOCAMERA ANALOGICA M6 DI LEICA

In concomitanza con lo storico premio, un ritorno altrettanto o più atteso per gli amanti della fotografia analogica, e gli ammiratori dei suoi maestri. Leica ricomincia infatti a produrre dopo 20 anni di stop la mitica M6, una macchina fotografica analogica a telemetro con obiettivo a baionetta a cambio rapido. “Perché investire tempo, risorse e soldi in una macchina analogica? Perché siamo Leica, ed questo è il nostro statement. Non è semplicemente un ‘prodotto’, ma una macchina complessa con 1500 parti meccaniche di cui 177 solo nel mirino a telemetro. L’azienda, a differenza di tanti competitor di settore, può permettersi di non ragionare solo in termini di business a breve termine, ma mandare un messaggio di rispetto agli amanti della pellicola. Il 43% di coloro che fotografavano a pellicola, dopotutto, non ha mai smesso”, racconta Andrea Pacella, Leica Global Marketing and Communication Director. “La cura e l’apprezzamento dell’analogico, poi, sono un fattore chiave di questo ritorno, oltre a una più ampia prospettiva di mindfulness. Con nostra sorpresa, sono tanti i giovani che sviluppano la passione della pellicola, cosa che ha fatto schizzare i prezzi degli usati vintage. Nelle nostre previsioni, una Leica venduta ogni cinque sarà analogica”. Unici cambiamenti sono i materiali usati per la calotta, che non è più in pressofusione di zinco ma in ottone ricavato dal pieno, e il mirino della MP, che sostituisce quello non trattato della vecchia M6 che poteva dare dei riflessi.

Oskar Barnack

Oskar Barnack

Diretta discendente delle Leica prebelliche di Barnack, l’M6 è una derivazione della Leica M3, la prima portatile compatta con la pellicola cinematografica al posto delle tanto odiate lastre di vetro (e dei rispettivi dieci minuti di posa). Piccola, solida, precisa, silenziosa ed eterna: la M6 prometteva, e ricomincia a promettere, di stare sempre appesa al collo del proprietario e registrare insieme a lui, o lei, la vita mentre accade. La gamma M, per intenderci, è quella di Cartier-Bresson, Capa, Riefenstahl e Salgado (due volte finito nella Hall of Fame della stessa Leica). Certo, sono più di cinquemila euro di macchina fotografica, più pellicole e sviluppo (per non parlare degli obiettivi), ma una volta visto il processo maniacale di produzione e l’altrettanto ossessiva cura nel recupero della sua eredità tecnica e spirituale, la cosa comincia ad avere un senso.

Giulia Giaume

https://www.leica-oskar-barnack-award.com/en/

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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