Morto a Milano il fotografo Johnny Ricci. Ecco chi era
È mancato a Milano il fotografo che aveva raccontato con grande garbo molte importanti pagine di arte contemporanea. Il ricordo di Angela Madesani
Da qualche anno non si vedeva più in giro per la città Johnny Ricci, con il suo impermeabile chiaro, i suoi modi affabili, la sua gentilezza mai affettata. Stamattina una comune conoscente mi ha scritto che se n’è andato. Il 25 ottobre alle 8 è stato portato al cimitero di Lambrate, a Milano. Tutto in silenzio, proprio come nello stile di Johnny.
CHI ERA JOHNNY RICCI
Era un bell’uomo, quando l’ho conosciuto aveva già superato i sessanta, ma il suo volto dai lineamenti perfetti lo rendeva senza età. Nel corso degli anni era riuscito a mantenere la sua vita privata, privata. Nessuno sapeva nulla di quel bravo fotografo che aveva raccontato con grande garbo molte importanti pagine di arte contemporanea. Senza alcuna sicumera, né protagonismo di sorta, Johnny, che i genitori in epoca fascista, avevano dovuto battezzare italianamente Giovanni, di arte ne sapeva un bel po’. Faceva piacere incontrarlo. Era ironico, leggero, come se camminasse in punta di piedi. Sono stata alcune volte nel suo studio, dietro a piazza Cairoli e talvolta sono stata ospite sua a pranzo in una trattoria con le tovaglie a quadretti. Nessuna posa, nessun artificio. A un certo punto avevamo iniziato a vederlo accompagnato da un’assistente, Annalisa Guidetti. In studio erano in due e poi in tre, perché era nata una bambina, figlia di Annalisa alla quale Johnny si dedicava con affettuosa attenzione. Ma poi Annalisa si era ammalata gravemente e nel 2016 se n’era andata. Johnny non ne parlava, credo che abbia provato un grande dolore, ma anche quello era suo, privato, intimo.
LE AMICIZIE CON GLI ARTISTI DA FABRO A DADAMAINO
Una ventina di anni fa mi aveva regalato un delizioso lavoro, un trittico in cui ero ritratta mentre giocavo con una bambina affetta da una grave malattia. Ero negli uffici di una galleria e Johnny era rimasto colpito da un aspetto di me che non conosceva e non immaginava. Il suo modo di ritrarre, di confrontarsi con il soggetto era talmente garbato che quasi non ci si accorgeva di essere ripresi. Aveva iniziato a fotografare a sedici anni con una macchina regalatagli da un cugino e che dopo il liceo scientifico, rimasto orfano di padre, aveva iniziato a lavorare in uno studio fotografico di via Moscova. Da quel momento inizia a dedicarsi con passione al lavoro che lo avrebbe tenuto impegnato tutta la vita. Si era messo in proprio nel 1963, lavorava e viveva in una cella francescana in piazza del Carmine. In quegli anni pare dormisse per terra, steso su una pelle d’orso. L’artista con il quale ha avuto un rapporto più stretto era Luciano Fabro, suo coetaneo, che aveva seguito sin dalla prima mostra personale, da Zita Vismara. E quindi l’amicizia con Dadamaino. Ricci lavorava soprattutto per gli artisti, meno per le gallerie. Aveva, però, lavorato con Valeria Belvedere. Negli anni non ha mai accettato di esporre le sue fotografie. Mi aveva spiegato: “La chiave del mio lavoro è la semplicità”. Una semplicità carica di implicazioni culturali, di conoscenza, di profondità, che ne ha fatto un protagonista del panorama dell’arte, il cui lavoro merita di essere guardato con la dovuta attenzione.
Angela Madesani
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