La fotografia senza limiti di Nino Migliori in mostra a Parma
È un decano della fotografia, e nella sua lunga vita ha incontrato i più importanti artisti italiani e non solo. Ora la mostra alla Reggia di Colorno, in provincia di Parma, estrae dal vasto universo degli scatti di Nino Migliori quelli che rappresentano gli esponenti dell’arte e della cultura
Sono più di settant’anni che Nino Migliori (Bologna, 1926) fotografa. Anzi no, perché “fotografare” è un termine assai riduttivo se applicato a un artista che, pur usando fotocamere analogiche e digitali, carte emulsionate, acidi, stampanti e tutto ciò che serve per il “mestiere”, ha come parola d’ordine la sperimentazione e l’attraversamento dei confini dei generi standard.
Quel desiderio insopprimibile di percorrere sempre strade nuove si è sempre sposato a un’intensa frequentazione con altri artisti, e ora alla Reggia di Colorno sono esposte 86 opere che “mettono a fuoco” –è proprio il caso di dirlo! – le relazioni tra l’autore e altre personalità dello scenario culturale di ieri e di oggi. Protagonisti del progetto espositivo sono i ritratti suddivisi dal curatore Sandro Parmiggiani in cinque sezioni, che corrispondono anche ad alcune delle tante forme e tecniche adottate da Migliori.
IL RITRATTO SECONDO NINO MIGLIORI
Il primo “capitolo” dell’esposizione è dedicato agli scatti più “tradizionali”: la carrellata di volti in bianco e nero rivela le fisionomie di artisti dagli Anni Cinquanta al 2011, da Tancredi a Warhol, da Robert Rauschenberg a Vasco Bendini. A tal proposito Migliori dichiara che quei ritratti sono sempre stati un modo per avvicinarsi alle persone, una prima “impressione” a cui segue la conoscenza diretta, che spesso è diventata amicizia: come nel caso di Emilio Vedova e di Tancredi, dai quali il giovane fotografo veniva spesso ospitato a Venezia durante i suoi soggiorni.
Dal 2006 Migliori ha realizzato vari progetti utilizzando una fonte di luce antica, la fiamma. Ai “ritratti a lume di fiammifero” è dedicata una sala in cui compaiono personaggi quali Mario Botta, Elisabetta Sgarbi, Sissi: la flebile e mobile luce, strategicamente posizionata, consente di creare immagini misteriose e di caratterizzare fortemente espressioni e connotati dei volti. Chi non ha mai provato a fare una fotografia allo schermo televisivo acceso? Ebbene, lo ha fatto anche Nino Migliori, che soprattutto negli Anni Settanta si è spesso interessato alle immagini in sequenza, ritenendole un modo per indagare la gestualità dei soggetti immortalati. Due esempi? Indro Montanelli e Dario Fo.
LA FOTOGRAFIA DI NINO MIGLIORI
Se finora abbiamo citato opere immediatamente riconoscibili nel genere della “fotografia”, con le serie chiamate Elaborazioni e Ritratti ritagliati il discorso diventa più complesso. L’autore non si fa scrupoli a sforbiciare le foto, discostando il protagonista dal fondo (è il caso di Emilio Tadini) oppure inquadrandolo in una griglia geometrica (per Lucio Saffaro). Ma si spinge fino a infilare le persone in un caleidoscopio gigante, fotografandole dall’alto in modo da ricavarne un ritratto plurimo, dai numerosi punti di vista. Le Trasfigurazioni infine sono i lavori che più si avvicinano al fare pittorico, pur basandosi su delle Polaroid. I due strati della pellicola istantanea vengono manipolati, elaborati, colorati, stampati su grandi formati: da quelle tinte irreali, da quei segni che sembrano pennellate, fanno capolino Fausto Melotti, ancora Vedova, Bruno Munari, Marisa Merz, Omar Galliani.
Marta Santacatterina
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati