La fotografia di Robert Capa in mostra a Rovigo
Nonostante la fama planetaria, è ancora possibile osservare la fotografia di Robert Capa da nuovi punti di vista. È quello che succede nella mostra a Palazzo Roverella
Robert Capa (Budapest, 1913 ‒ Thai Binh, 1954) è un monumento della fotografia, uno di quei maestri di cui si conosce molto ma che vale la pena indagare in ogni suo frangente, anche meno noto, poiché gli scatti meno noti sono una sorpresa.
Alcune delle sue immagini, come quella del miliziano, sono state oggetto di controversie. Vere o pose costruite? Poco importa risolvere tali quesiti, è interessante invece la storia della “valigia messicana”, contenente un gruppo di fotografie realizzate in Spagna con l’amico David Seymour e la compagna Gerda Taro. Una valigia scomparsa nel 1939 e riapparsa all’inizio del XXI secolo.
LA MOSTRA SU ROBERT CAPA A ROVIGO
La grande mostra antologica, suddivisa in nove sezioni e curata da Gabriel Bauret a Rovigo, a Palazzo Roverella, costituisce un’occasione, non così frequente, di avvicinarsi al suo lavoro. È la ricostruzione di un cammino che parte dal 1932, con un Capa diciannovenne, che si chiama ancora André Friedmann, e raggiunge l’anno della sua morte in Indocina, nel 1954, causata dalla ferita di una mina antiuomo.
Capa è stato un fuggitivo dall’est dell’Europa, dove cominciavano a sentirsi gli echi del nazismo, intenzionato a giungere in Francia. Come sottolinea Bauret nel suo bel saggio introduttivo, per comprendere Capa nella sua interezza bisogna innanzitutto prendere in esame il punto iniziale del suo percorso, a Budapest, e il mondo ebraico al quale appartiene, al quale sarebbe tornato con le foto del neonato Israele della fine degli Anni Quaranta. E quindi le immagini dei villaggi ungheresi e della Germania in cui sventolano sulle case le prime bandiere con la croce uncinata. Ma anche le immagini di un sogno politico, quello della Francia del Fronte popolare degli Anni Trenta, del governo di Léon Blum con gli operai in sciopero che per alcuni versi richiamano certa fotografia della coeva Farm Security Administration.
LA FOTOGRAFIA SECONDO ROBERT CAPA
L’essere umano osservato, studiato nei suoi diversi atteggiamenti è il protagonista delle immagini di Capa. Commuovente, se si pensa alla fine che avrebbe fatto di lì a poco, il ritratto dell’amata Gerda, distrutta dalla fatica, accovacciata su un prato brullo, con la testa appoggiata su una scatola. La mostra di Capa a Rovigo racconta un personaggio che ha fatto della storia la sua vita, una vita breve, intensa, carica di dolori e di successi, come la fondazione, nel 1947, con Henri Cartier-Bresson e David Seymour, della celebre agenzia Magnum Photos, che avrebbe mutato per sempre il ruolo del fotografo nel mondo dell’informazione.
Angela Madesani
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati