Pier Paolo Pasolini e la fotografia: due mostre in Friuli Venezia Giulia
Quale legame esisteva tra Pier Paolo Pasolini e la fotografia? A rispondere alla domanda sono le mostre a Passariano di Codroipo e Casarsa della Delizia, che gettano nuova luce sull’intellettuale a cento anni dalla nascita
È stato con tutta probabilità l’intellettuale più fotografato del Novecento. Figura inafferrabile, amata e odiata, accolta e fraintesa, spesso osteggiata e non di rado strumentalizzata, è ancora ampio il terreno da sondare rispetto alla vita intensa e all’articolata produzione di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Lido di Ostia, 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo. In Friuli, una mostra diffusa in due sedi lo fa partendo dal rapporto di Pasolini con la propria immagine, e dall’uso consapevole che fece della fotografia come narrazione polifonica della propria personalità, impossibile da afferrare e definire. Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo presenta il risultato di un’attenta ricerca filologica, durata anni, della curatrice spagnola Silvia Martín Gutiérrez insieme al comitato scientifico composto da Marco Antonio Bazzocchi, Davide Luglio e Claudio Marra, il cui intento è stato quello di scavare nei mondi che ognuna di queste fotografie rappresenta: “Il rischio era quello di rendere Pasolini un’icona, un’immagine vuota. Questa mostra, invece, non vuole solo presentare delle ‘belle fotografie’, bensì indagare i tanti aspetti che ancora non sappiamo di lui“, spiega la curatrice, che ha recuperato le storie di questi tra gli archivi, riscoprendo fotografi a volte dimenticati o non ancora adeguatamente valorizzati. Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson, Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Rabau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir: sono solo alcuni degli autori che hanno immortalato Pasolini nei momenti più significativi della sua vita privata e professionale e in giro per il mondo, assieme ai tanti miti del tempo, come Oriana Fallaci, Dacia Maraini, Anna Magnani, Maria Callas, Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Jean-Luc Godard e persino Man Ray, quando gli propose di disegnare il manifesto di Salò. La mostra, promossa da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia con il contributo di Cinemazero in occasione del centenario della nascita di Pasolini, è ospitata a Villa Manin a Passariano di Codroipo, in provincia di Udine, che per la prima volta apre uno spazio espositivo separato dal percorso della dimora ottocentesca.
PASOLINI DAVANTI ALL’OBIETTIVO
Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo procede nella vicina Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, in un luogo quanto mai significativo per la vita dell’intellettuale: ovvero nel Centro Studi che sorge a Casa Colussi, nella casa natale della madre Susanna Pasolini, dove trascorse le sue estati d’infanzia. Ad accogliere il visitatore è il rinnovato allestimento che racconta il lato più personale dell’autore, nonché l’importanza che il territorio friulano ebbe nella sua formazione artistica. Si va dalle radici famigliari, con fotografie d’epoca, alla sua passione per il calcio – Pasolini era infatti un appassionato tifoso del Bologna ‒, passando per la produzione poetica in dialetto friulano e quella artistica, grazie alla mostra permanente di disegni e dipinti da lui realizzati in gioventù. All’ultimo piano della casa, invece, prosegue il percorso fotografico, questa volta incentrato sulle case romane di Pasolini, quella di via Fonteiana 86, nel quartiere di Monteverde, quella in via Giacinto Carini 45, da cui nel 1963 si mosse per stabilirsi nella casa di via Eufrate, 9 nel quartiere EUR. Questa volta viene fotografato da Marisa Rastellini, Elio Sorci, Pietro Pascuttini e Jerry Bauer, che ne colgono il lato più domestico e intimo: a fianco alla macchina da scrivere, circondato da lettere e carte nel suo studio, colto nell’atto di parlare, pensare, posare assieme a sua madre e ai suoi amici più stretti. Pasolini, che nel corso della sua vita non ha quasi mai trattato di fotografia, ne dà la sua personale definizione proprio nel rapporto con essa: si sottopone costantemente all’obiettivo per raccontarsi, ma allo stesso tempo offre così tante versioni della propria immagine da rischiare di scomparire. Si identifica continuamente con quell’“altro da sé”, in una perpetua fuga da se stesso.
Giulia Ronchi
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #31
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