Fotografare la natura. La mostra di Vittore Fossati a Piacenza
Una cittadina sul fiume Tanaro è lo sfondo degli scatti del fotografo che ha imparato ad ascoltare la natura. Dando forma a un progetto durato dieci anni, ora in mostra da Spazio BFT a Piacenza
Di cosa parlano le fotografie di Vittore Fossati (Alessandria, 1954) ce lo ha raccontato lui stesso, durante una conversazione avvenuta lo scorso 3 aprile, attraverso un aneddoto che coinvolge la figura dell’amico Luigi Ghirri: “Un giorno, era il 1978, ero da lui a Modena e decidiamo di sfogliare un’antologia di fotografia e di scegliere, l’uno all’insaputa dell’altro, una fotografia fra tutte. Curiosamente scegliamo la stessa, una foto di Sabine Weiss che ritrae un uomo e una donna che si baciano dietro a una tenda. Né io né Ghirri avremmo mai scattato una fotografia del genere, ma era quel che ci piaceva. Per tutta la vita tendi a fare delle cose che stanno per qualcos’altro”.
Ed è proprio quel qualcos’altro l’elemento da indagare nella serie di fotografie scattate nello spazio di trecento metri sulle rive del fiume Tanaro, a valle e a monte di un ponte, nella località di Masio che si trova a metà strada fra l’abitazione di Fossati ‒ “abito all’ultimo piano di una casa di un quartiere periferico di una città periferica” ‒ e il luogo in cui egli si recava al lavoro; progetto fotografico condotto in un arco temporale di più di dieci anni.
LE FOTOGRAFIE DI VITTORE FOSSATI
Fermarsi a fotografare, a volte la mattina molto presto, è una sorta di esercizio di osservazione che attribuisce senso a quel viaggio ripetuto due volte al giorno. Masio è un luogo qualsiasi, privo di magniloquenza, al quale Fossati cerca di dare una vivibilità, una struttura, trasformandolo in un paesaggio pieno di connessioni e intrecci, a dimostrazione che la fotografia è un fatto di natura culturale: per l’autore esiste una forte scissione fra i luoghi belli da vivere e i luoghi belli da fotografare. Il camminare spesso ci porta in ambienti naturali in cui percepiamo, con diversi gradi d’attenzione, alberi, acque, sassi e altri elementi, ma, come scrive il sociologo Georg Simmel (Georg Simmel, Saggi sul paesaggio, Armando editore, 2006), questi elementi presi nella loro singolarità non formano ancora il paesaggio, poiché la nostra coscienza ha bisogno di una totalità unitaria che trascenda l’elenco dei singoli componenti. Ed è proprio camminando, lasciando scorrere il tempo nel luogo prescelto e rimanendo in ascolto della natura, che qualcosa accade, si svelano dettagli che assumono rilevanza, attorno ai quali organizzare un orientamento dell’immagine. “All’inizio quando fotografi ti accorgi solo delle cose più grosse, ma dopo un po’, camminando sulla riva di un fiume cominci ad ascoltare, arriva il suono dell’acqua sui ciottoli, poi senti lo scricchiolio dei tuoi passi e lo metti in relazione col rumore dell’acqua, guardi una cosa vicina e una cosa distante, magari ti accorgi di un segno bianco su una pietra che indica una direzione e cerchi di intrecciarla col resto, e solo alla fine riesci a fare esperienza di un luogo, unendo tutte queste cose”.
VITTORE FOSSATI E LA NATURA
Guardando attentamente le immagini di Fossati, si individua la relazione fra il punto di vista finito del fotografo e l’infinito dello sfondo, e questo legame è fatto di piccoli elementi: un ramo curvo che entra da un lato, un tronco che si erge a metà immagine, un ramo e una piccola pianta che sembrano tracciare una diagonale, una successione cioè di “incidenti figurativi”, come Fossati li definisce, ovvero configurazioni curiose che non nascono dal caso, ma da un costante dialogo con il luogo che si è scelto di indagare fotograficamente.
In questa acuta modalità di costruire l’immagine diventa man mano evidente il filo che unisce gli elementi, legandoli allo sfondo per creare il paesaggio, così come lo intende Simmel “una visione in sé compiuta, sentita come unità autosufficiente, ma intrecciata tuttavia con qualcosa di infinitamente più esteso, fluttuante (…)”. A noi spettatori il compito di svelare, come in un crittogramma, l’articolazione degli elementi naturali e ricostruire a ritroso, attraverso l’inclinazione delle linee e la molteplicità delle forme, quel che Robert Adams definiva, a proposito della fotografia di paesaggio, il percorso geografico, biografico e metaforico (Robert Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, 2012) ‒ quel qualcos’altro nascosto nelle immagini del tratto di fiume del nostro autore.
Silvia Camporesi
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