Attivismo e fotografia nella mostra di Muholi a Milano
Rifiuta le definizioni e la connotazione di genere l’artista in mostra al Mudec con una serie di fotografie che riflettono sull’identità e sul tempo presente
Non è cosa facile scrivere del lavoro di Muholi (Umlazi, 1972), in mostra al Mudec di Milano. Non ama, infatti, le definizioni e ha rifiutato qualsiasi connotazione di genere, incluso il suo nome femminile, Zanele, che in lingua zulu ha un significato affascinante, lingua madre. Poiché il neutro in italiano non esiste, ci troviamo costretti a parlarne al femminile, sperando non ce ne voglia.
LA MOSTRA DI MUHOLI A MILANO
La mostra è serrata, lo spettatore si trova di fronte a numerosi autoritratti fotografici che fanno riferimento alla sua presunta identità culturale africana, ma anche a una tipologia rappresentativa canonica. Muholi, oggi cinquantenne, afferma: “Una delle ragioni per cui ho scelto di dedicare la mia vita professionale alla fotografia è la convinzione che nella storia dell’umanità questo mezzo espressivo, a partire dalla sua comparsa alla fine del XIX secolo, abbia potuto fare la differenza. La fotografia ha permesso sin da allora accessi democratici alle facoltà espressive, consentendo di veicolare messaggi sociali e politici comprensibili senza intermediazioni culturali”. E i suoi sono messaggi politici e sociali riferiti alle sue diverse appartenenze in cui il livello linguistico è alto, curato.
LA FOTOGRAFIA DI MUHOLI
Non ci sono denunce esplicite, violenze di sorta, piuttosto il tentativo di testimoniare il dramma che sta alla base dell’esistenza attraverso una pacatezza d’insieme che tende a coinvolgere maggiormente lo spettatore.
I suoi occhi parlano più di quanto si possa immaginare. “Voglio dare allo spettatore uno spazio con cui giocare, che non sia così doloroso. Io credo che non ci sia bisogno di essere aggressivi, perché la situazione è già pesante”, dice. I riferimenti sono molteplici, alle diverse culture, ai diversi generi, alle eventuali appartenenze. Partendo dal sé, Muholi arriva a una dimensione universale, in cui il ragionamento artistico e politico diventa un unicum per dialogare con chi si pone di fronte alle sue immagini.
Angela Madesani
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