I dimenticati dell’arte. Franco Vimercati, il fotografo del tempo
Si concentra su un unico oggetto, ripreso più volte nel corso della sua esistenza, la fotografia dell’artista milanese, che mette in atto una rigorosa “politica dell’attenzione”
“Io sono la lastra, ho bisogno di poca luce, di un sospiro, un soffio di luce”. Così si esprimeva Franco Vimercati (Milano, 1940 – 2001), per il quale la fotografia era un atto assoluto, quasi devozionale, da consumarsi secondo una disciplina essenziale e rigorosa.
LA STORIA DI FRANCO VIMERCATI
Vimercati nasce a Milano all’alba della Seconda Guerra Mondiale, e da bambino vive nel clima difficile della città sfollata dopo i bombardamenti. A 14 anni si iscrive ai corsi serali dell’Accademia di Brera, e comincia a frequentare le gallerie d’arte del quartiere e il bar Giamaica, dove in quel periodo si incontravano personaggi come Lucio Fontana, Giuseppe Ungaretti, Nanni Balestrini e Piero Manzoni. Franco comincia a dipingere tele informali, legate dal recupero dell’oggetto: nel 1959 si diploma e inizia a esporre al premio San Fedele e al premio Lissone. Tre anni dopo viene assunto in uno studio come grafico pubblicitario, ma nel 1965 decide di mettersi in proprio e aprire un’attività di grafica nel suo appartamento, dove comincia a fare i primi esperimenti con la fotografia. Qualche anno dopo conosce Ugo Mulas, che lo introduce al lavoro di fotografi stranieri come Diane Arbus o Robert Frank, poco conosciuti nel nostro Paese. Così nel 1973 realizza la sua prima opera fotografica: si tratta di 38 ritratti di abitanti di un paesino delle Langhe, dove Vimercati trascorre le vacanze estive, con sua moglie Bruna. L’opera viene esposta alla biblioteca Luigi Einaudi di Dogliani, e pubblicata l’anno seguente da Luigi Carluccio nel volume Sulle Langhe, accompagnato da un testo di Davide Lajolo. Cominciano a interessarsi al suo lavoro sia Paolo Fossati che Arturo Carlo Quintavalle, che seleziona alcune immagini per la collezione del Moma di New York.
FRANCO VIMERCATI E LA FOTOGRAFIA
Nel 1974 realizza la serie Un minuto di fotografia: 13 fotografie di una sveglia, scattate ogni 5 secondi, per documentare il trascorrere di un minuto. Comincia così una ricerca che Marco Scotini ha definito “la politica dell’attenzione”: una pratica che vede Vimercati concentrarsi su un unico soggetto, ripreso più volte da un’unica inquadratura, sempre in bianco e nero. Una sequenza di 36 scatti di altrettante bottiglie di acqua minerale della stessa marca colte dalla stessa inquadratura, sei fotografie di alcune piastrelle del pavimento della sua casa, sei fogli di carta carbone, dodici cartoni del latte: fino al 1977 Franco sviluppa una severa disciplina dell’immagine, che lo porta a riprendere lo stesso oggetto – una zuppiera, una brocca, una fruttiera – più volte. Una scelta radicale che raggiunge il suo apice nel 1983, quando l’artista decide di ritrarre sempre lo stesso manufatto per un intero decennio. Si tratta di una piccola terrina sbeccata, lasciata dai vecchi proprietari dell’appartamento dove Franco è andato ad abitare. Nel 1992 si conclude il “ciclo della zuppiera”, ma l’artista continua la sua ricerca, apprezzata dal collezionista Giuseppe Panza di Biumo, dai curatori Elio Grazioli e Simone Menegoi e dai galleristi Monica de Cardenas e Raffaella Cortese, che inaugura la sua galleria a Milano nel 1995 con una sua mostra personale. Per capire meglio il mondo di Franco è aperta fino al 10 settembre alla Galleria Nazionale di Roma l’interessante e completa antologica Franco Vimercati. Il mondo in un granello di sabbia, a cura di Susan Bright.
Ludovico Pratesi
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