La fotografia come trauma nei paesaggi onirici di Joan Fontcuberta a Roma
Ingigantisce macchie, graffi, muffe, polvere e batteri la ricerca fotografica dell’artista spagnolo, in mostra all’ex chiesa delle Zitelle
Nello spazio espositivo dell’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione), all’ex chiesa delle Zitelle di Roma, Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955) mette in scena la sua Cultura di polvere. In mostra, le 12 lightbox di grande formato realizzate dall’artista spagnolo nel corso della sua residenza in ICCD, che gli ha permesso di dialogare con le collezioni storiche e restituire un lavoro surreale, che pone interrogativi sull’immortalità della fotografia e sul senso tragico del tempo.
LA MOSTRA DI JOAN FONTCUBERTA A ROMA
Anche la fotografia muore. Ingiallita, lacerata e declinata al tempo che severo scorre, diventa nuova forma, habitat reale di microorganismi che divorano la vita. La morte, come sottolinea Vladimir Jankélévitch, è una magia tutta naturale, poiché è letteralmente extra ordinem. Difatti, il nuovo lavoro di Fontcuberta, che rientra tra i progetti vincitori del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, consiste nell’appropriazione, nella selezione e nell’ingrandimento di alcuni dettagli tratti da negativi deteriorati, appartenuti al principe Francesco Chigi Albani della Rovere, conservati in ICCD; attraverso un’operazione effettuata dall’artista, acquisiscono una fisionomia nuova. Fontcuberta ingigantisce macchie, graffi, muffe, polvere e batteri presenti sui fotogrammi del fondo Chigi, dando vita a paesaggi surreali, macabri, lenticolari e microbici che divengono una evoluzione contemporanea dell’antico motivo della Vantis, che vede nelle opere di Hans Baldung Grien o del Maestro dell’alto Reno l’espressione cinquecentesca più articolata e macabra.
FONTCUBERTA. LA FOTOGRAFIA COME TRAUMA
La fotografia diventa trauma e genera in sé paesaggi onirici, ernstiani, visibili in controluce attraverso il display delle light box. Allo stesso tempo, però, sono paesaggi reali, proprio perché queste forme organiche che divorano gli antichi fotogrammi sono inesorabilmente vive e presenti. Questo ricostruire con la polvere che si rifà alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 – Élevange de pousssière, l’opera impossibile in cui la polvere accumulata per mesi sul vetro duchampiano e fotografata poi da Man Ray attraverso una sorta di ripresa aerea genera un paesaggio allucinatorio – è la chiave di lettura per codificare le immagini di Fontcuberta, che attraverso una ri-significazione del concetto filosofico e antropologico del tempo e dell’esistenza che vede in Martin Heidegger l’analisi più alta, colloca nella nostra contemporaneità icone nuove, fotogrammi autentici investiti di incertezza.
Fabio Petrelli
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