La grande mostra su Letizia Battaglia a Roma
Dramma e dolcezza, passione e controllata emotività si mescolano negli scatti di Letizia Battaglia, coraggiosa testimone del proprio tempo. A lei è dedicata la mostra alle Terme di Caracalla
Le Terme di Caracalla, nel trentesimo anniversario degli attentati a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro avvenuti nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993, ospitano la mostra Letizia Battaglia Senza Fine. Un omaggio alla fotografa siciliana che ha consacrato la propria vita all’ impegno civile, alla consapevolezza sociale, rivelando sensibilità e naturalezza nella composizione delle immagini.
LA MOSTRA SU LETIZIA BATTAGLIA
Letizia Battaglia (Palermo, 1935-2022) ha considerato la fotografia uno strumento per denunciare gli squarci causati dal terrorismo e le scie di sangue e di morte, i boati drammatici, voluti dalla mafia nella Sicilia degli Anni Settanta e Ottanta. E di foto il percorso espositivo ne prevede novantadue, di grande formato. Sono sospese su cavalletti di cristallo, “come una foresta, una installazione aperta”, configurando così una sistemazione non rigida, non verticale e gerarchica, delle opere, impostate in modo atemporale, non cronologico per raccontare le varie modalità di essere fotografa della Battaglia. Immagini iconiche, poco note o inedite che riassumono cinquant’anni di lavoro fotografico, dal 1971 al 2020.
Il progetto della mostra, ha spiegato il curatore Paolo Falcone, ha mantenuto “la tradizione di comporre un’opera unica e priva di gerarchie dove fotografie iconiche, appunti di viaggio, vita quotidiana costruiscono una narrazione aperta. Una costellazione di fotografie dove amore e dolore, dolcezza e dramma, passione e impegno raccontano momenti della nostra storia”. Nel tentativo di dare il risalto che merita a una donna controcorrente che frantuma gli schemi.
Nelle sue opere Letizia Battaglia non cerca la bella immagine e per questo utilizza il bianco e nero perché consente di vedere cose che il colore non svela. È sufficiente osservare il ritratto che Battaglia ha fatto a Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani morto nella strage di Capaci nel 1992 insieme al giudice Giovanni Falcone, al funerale del marito nella cattedrale di Palermo. Collocata al centro della mostra, è diventata l’immagine-icona nella lotta alla mafia. Rosaria ha gli occhi chiusi, dopo l’orribile frastuono e le carni dilaniate. Il volto composto è per metà immerso nell’ombra e nell’altra metà immerso nella luce. La stessa divisione spacca le labbra socchiuse della giovane donna. Sta forse prendendo coscienza della violenza inaudita che ha colpito il suo corpo e il senso dell’esistere di fronte a quelle vite spappolate valutate meno di niente.
LA FOTOGRAFIA DI LETIZIA BATTAGLIA
Non fotografa della mafia, come è stata definita, ma fotografa contro la mafia, ci teneva a precisare Battaglia. Voleva essere indicata come “umile fotografa di tragedie palermitane”. Alla sua città è riservata una scelta di scatti che coinvolgono i pazienti dell’ospedale psichiatrico, rendendoli protagonisti. Un appuntamento che si è ripetuto spesso negli anni. Ed è la foto della giovane Graziella del 1983 ad aprire la mostra. Il volto marcato, ben pettinata, gli occhi accesi, il sorriso accennato, guarda dritto in macchina mentre offre fiori come a dire “anch’io esisto. Accettatemi, non sono da scartare”. La mostra si chiude sullo scatto del 2020 di Olimpia, giovane mamma sulla spiaggia di Mondello.
Il lavoro di fotoreporter non è semplice per Battaglia, in un mondo di uomini. Fino a quando il commissario Boris Giuliano ordina ai suoi poliziotti: “La signora deve passare”. Capo della Mobile che scorgiamo di spalle sul luogo di un omicidio, con la sofferenza estrema di quella donna schiantata dal dolore che non si regge in piedi. Un dolore però che non dà assuefazione, piuttosto un’immagine che si scaglia contro la complicità, il silenzio, l’impotenza.
La mostra inoltre concede spazio a un insieme di fotografie che Letizia Battaglia ha scattato lontano dalla sua terra d’origine. Spostamenti sostanziali per cogliere fino in fondo la sua opera e il suo pensiero. In Utah, del 2019, la configurazione androgina di un nudo femminile sdraiata sulla neve fin quasi a sprofondare, immersa in un silenzio rassicurante, proclama un contatto con la natura finalmente lontano da violenze straripanti.
Fausto Politino
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