A Venezia la grande mostra su Ugo Mulas, l’artista della fotografia
Il nuovo polo veneziano dedicato alla fotografia ospita un decano del genere, ripercorrendo la storia di un autore che ha dato un nuovo significato all’arte dello scatto
La mostra allestita nelle nuove Stanze della Fotografia di Venezia pone lo sguardo su alcuni dei capitoli più significativi della produzione e della ricerca di Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 ‒ Milano, 1973). Abbiamo chiesto ad Alberto Salvadori – direttore dell’Archivio dedicato al fotografo e curatore della mostra insieme a Denis Curti – di commentare alcune scelte fatte. “Mulas è uno dei rari casi di artista che possedeva anche il dono dell’esegesi del proprio lavoro. I suoi scritti, le sue riflessioni e pensieri sono tuttora e credo rimarranno per sempre insuperabili. Sono fondamentali sia per il lettore sia per chi si appassiona al suo lavoro, ma anche per chi, in termini teorici e critici, intenda affrontarlo. Grazie alle sue parole diventa facile capire, entrare e anche uscire dalla fotografia. Ha reso il medium un elemento concettuale e reale allo stesso tempo”. Nella mostra veneziana uno spazio importante è dedicato alle Verifiche, un’opera determinante per chi ha fatto fotografia dopo di lui. “Già da Spoleto nel 1962 aveva iniziato la sua riflessione non tanto sulla creazione ma sul processo, parola e concetto chiave nel mondo dell’arte dalla fine degli Anni Sessanta, e anche sul contesto, sull’ambiente, su quello che si definiva ‘environment’ creato dall’opera. Il suo è stato un percorso concettuale fin dall’inizio, ha lavorato sulla fotografia non esclusivamente come mezzo, ma come forma di pensiero. Nel 1965 l’amicizia con Duchamp lo porta ancora di più verso questa dimensione teoretica e le ‘Verifiche’ ne sono la summa, un lavoro concettuale e teorico a tutti gli effetti, un lavoro metafotografico”.
ARTE E FOTOGIORNALISMO
La rassegna presenta parte della produzione fotogiornalistica di Mulas: “La stampa gli dava la possibilità di viaggiare, anche nella sua città d’adozione, Milano, e fin dall’inizio ha fotografato altro che non fosse quello che gli veniva richiesto. Nascono subito le immagini di Milano notturna con i netturbini, la Milano della ricostruzione dal sapore neorealista, il Jamaica, i reportage sulla Germania, Danimarca, Russia, Svezia, realizzati in parallelo alle commissioni arrivate dall’industria. Determinante fin da subito è stato il mondo dell’arte, la frequentazione con gli artisti visivi ma anche imprescindibile il suo amore per la poesia e la profonda amicizia con poeti e letterati”, prosegue Salvadori. I suoi ritratti a Ungaretti e a Montale sono entrati nell’immaginario di tutti noi.
MULAS E LA FOTOGRAFIA
Mulas, con grande anticipo sui tempi, è riuscito a superare il genere in fotografia. “Penso che abbia usato e interpretato la fotografia come strumento semantico e non come una possibilità di riproduzione del reale. È andato oltre la mimesis. Si è concentrato fin dall’inizio sulla possibilità di fotografare essendo coerente al suo concetto di verità; mi ricorda molto la pratica di uno scrittore, di un musicista, di tutti gli artisti che non dipendono da cosa fanno ma sono ed esistono attraverso quello che fanno. Poi, se vogliamo fermarci alla fotografia, studiando il suo lavoro, subito mi sono accorto che in venti anni Mulas è stato tanti fotografi insieme, ha superato il concetto di genere fotografico e dentro di me si è creato un parallelismo immediato: Mulas è per la fotografia quello che Kubrick è stato per il cinema”.
Mulas rifiutava l’idea di scoop, il suo era un atto di non intervento e le immagini scelte per la mostra sono molto chiare in tal senso. “Fotografare era per lui una forma di pensiero, una modalità per pensare. Il non fare di Duchamp. Aborriva la frenesia dell’attimo irripetibile alla Cartier-Bresson, ripudiava la fotografia come costruzione dell’immagine speciale. Ha scritto molto bene come tutto questo fosse per lui da evitare e come questa modalità avrebbe portato a una omologazione del reale e a una situazione artefatta dello stesso, facendo diminuire la libertà di pensare e di vedere per molti di noi. In effetti viviamo in un’era dove tutto ciò è diventato realtà”.
Nel suo testo presente in catalogo Denis Curti ha ceduto la parola ad alcuni personaggi che hanno conosciuto Mulas, mentre Salvadori ha impostato il proprio in chiave musicale: “L’intero suo lavoro, eseguito tra il 1952 e il 1972, è una lunga e intera partitura per una grande sinfonia. Non ha fotografato due volte lo stesso soggetto, non è mai ritornato su un tema già affrontato, il destino e la sua volontà hanno deciso questo. La mostra di Venezia è appunto una grande partitura, un’opera unica suddivisa in tanti spartiti che suonano benissimo anche da soli. Le grandi opere sinfoniche si ascoltano in tutte le loro componenti, poi chi ha la conoscenza e le doti per farlo può soffermarsi e avere il piacere e godere del singolo strumento, ma la grandiosità sta nell’insieme delle parti e il suo lavoro ha queste specifiche caratteristiche”. Come già affermato, una grande, straordinaria opera totale.
LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA
Stanze della Fotografia è il titolo del progetto pluriennale, inaugurato a Venezia nelle Sale del Convitto di San Giorgio Maggiore, sull’isola omonima, che vede come promotrici la Fondazione Giorgio Cini e Marsilio Arte. È il seguito di quanto è avvenuto, a partire dal 2012, alla Casa dei Tre Oci. Gli spazi sono stati predisposti dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la partecipazione del Teatro La Fenice. Si tratta di un luogo dedicato all’approfondimento della ricerca e dello studio della fotografia nello specifico e dell’immagine in una chiave più generale. Gli spazi, infatti, non saranno dedicati alla sola fotografia ma a laboratori, incontri, workshop, seminari con fotografi nazionali e internazionali, in collaborazione con istituzioni italiane e straniere. Il progetto è inaugurato, oltre che dalla mostra su Ugo Mulas, anche da Venezia alter mundus: 60 fotografie di Alessandra Chemollo, esito di una profonda riflessione su una delle città più fotografate al mondo.
CHI ERA UGO MULAS
La strada di Ugo Mulas inizia alla fine degli Anni Quaranta con immagini di fotoreportage ambientate a Milano al bar Jamaica, alla Stazione Centrale. In seguito si dedica alla documentazione artistica dando vita a un nuovo modo di documentare la contemporaneità, per poi per spaziare in ambiti fra i più diversi: dalla moda al settore commerciale, dal teatro alla ricerca personale con le Verifiche, al termine della sua breve vita. Partito da un territorio che potremmo definire neorealistico, con le sue ultime immagini Mulas assume l’identità di un artista concettuale.
Lo studio che apre con la moglie Nini alla fine degli Anni Cinquanta diviene un punto di riferimento per i giovani fotografi che volevano allontanarsi da un modello di fotografia ormai superato. A partire da questi anni collabora con molte riviste fra le quali Domus e L’Illustrazione Italiana.
Nel 1964 realizza uno dei suoi lavori più significativi, L’Attesa, una serie di immagini sul taglio di Lucio Fontana: “Di tutte le fotografie, soltanto una serie praticamente fatta nel giro di una mezz’ora ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande, con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire che l’operazione mentale di Fontana, che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela, era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte”. Nello stesso anno è determinante il viaggio negli Stati Uniti dove, oltre agli artisti della Pop Art, conosce Marcel Duchamp, che considera, insieme a Man Ray, uno spartiacque per l’arte del XX secolo.
Nel 1970 si ammala gravemente. Già due anni prima aveva iniziato a lavorare alle Verifiche, una serie nella quale convivono scrittura e fotografia. Un’opera divenuta fondamentale.
Angela Madesani
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #34
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati