Il festival F4 di fotografia contemporanea in Veneto a Pieve di Soligo
La dodicesima edizione del Festival F4 di Pieve di Soligo prende spunto da una mostra fotografica passata alla storia. Da qui si riflette sullo stato dell’arte della disciplina. Temi e protagonisti
Data al 1986 la storica mostra Esplorazioni sulla via Emilia, momento cardine per la fotografia italiana della seconda metà del Novecento e spunto di partenza per la dodicesima edizione del Festival F4 / Un’idea di fotografia di Villa Brandolini (Pieve di Soligo, in provincia di Treviso). A una selezione del corpus riunito nell’86 ha attinto infatti la direzione artistica di Carlo Sala nell’allestire il dialogo Dai maestri del Novecento alle indagini contemporanee.
Il Festival F4 e i maestri della fotografia del ‘900
Nel centro della sala è collocato un display espositivo, un tavolo dell’architetto e fotografo Cesare Leonardi, che contiene alcune delle fotografie dell’epoca. Come le opere di Olivo Barbieri (Carpi, 1954), che riesce a creare inquadrature originali di ambienti urbani stravisti, il Duomo di Milano, il Colosseo o Venezia, ricorrendo alla tecnica del fuoco selettivo, realizzando una sfocatura graduale nelle zone superiori e inferiori della fotografia per mettere in risalto il punto focale all’interno dell’immagine. La foto in mostra è incisa da un fuoco scoppiettante, dinamico, che lascia intravedere figure in attesa. E di Gabriele Basilico (Milano, 1944 – 2013), che prima di scattare studia la storia della città, interroga piante e mappe, chiede aiuto agli esperti; annotando la luce, gli spostamenti delle ombre, per ridare forma e identità alle città e alle metropoli al centro della sua attenzione. Ma c’è spazio anche per Giovanni Chiaromonte (Varese, 1948), che interpreta l’atto fotografico non come passiva mimesis del reale ma come interpretazione dettata da immagini che si sono accumulate nel tempo, e per Vittore Fossati (Alessandria, 1954), da sempre impegnato nella ricerca paesaggistica senza lasciarsi sfuggire la bellezza di un particolare geometricamente equilibrato. Poi Guido Guidi (Cesena, 1941), che fotografa le cose da nulla, di sguincio, sghembe, che alla maggioranza potrebbero sfuggire, ma lui le ricrea rivestendole della dignità che meritano. E Mimmo Jodice (Napoli, 1934), nella cui dimensione domina l’attesa, oltre le coordinate spaziali e il fluire del tempo dove non c’è posto per l’essere umano. Il tutto reso nel nitore incondizionato del bianco e nero.
Il percorso a questo punto prevede una selezione degli scatti di Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Roncocesi, 1992), fin dagli Anni Ottantariconosciuto riformatore della fotografia di paesaggio, con la sua costante rilettura dell’ambiente emiliano. I cui aspetti cardine si concretizzano nella duplice ricerca che mette a fuoco paesaggio e architettura, natura e urbanistica; dove il reale e l’onirico, la consistenza terrena e l’innesto metafisico fanno venire in mente echi dechirichiani.
Il Festival F4 e la fotografia contemporanea
L’impaginazione della collettiva, nella sezione dedicata alle indagini contemporanee, inizia con l’intervento di Jacopo Valentini (Modena, 1990) che a distanza di tempo dialoga idealmente con i lavori storici creando la serie Paesaggi da tavola: l’autore ha voluto riconsiderare l’identità di quegli specifici territori lavorando a una serie di immagini di nature morte realizzate in alcuni ristoranti. Nella storia dell’arte, e non solo, il genere still life può vantare uno consolidata presenza. Lo stesso Leopardi aveva notato che “dietro a ogni oggetto se ne trova un altro più ricco di senso”; De Chirico si è riferito al linguaggio delle cose in grado di provocare sorpresa e turbamento, malinconia e meditazione. Bisogna imparare ad ascoltare, a captare la voce remota del percepito,che per quanto fievole, è viva dietro lo schermo compatto della materia. Nella sua ricerca Valentini tende a dislocare il territorio, dislocando l’oggetto, estrapolandolo dal suo habitat al limite dell’astrazione.
Contemporanea è anche la ricerca del duo J&PEG (Simone Zecubi, Gallarate, 1979; e Antonio Managò, Busto Arsizio, 1978), qui con la personale Fake Life, che presenta alcune figure con i volti occultati da un velo: i panneggi utilizzati dal duo, che nascondono tanto gli oggetti quanto i volti, hanno la funzione di suscitare delle fratture nella dinamica rappresentativa e percettiva, creando un’interruzione fra l’io che è, e l’io che appare. Un’impostazione che potrebbe rimandare a Les Amants di Magritte del 1928, che mette in scena una relazione in qualche modo contraddetta.
La mostra antologica di Uliano Lucas
La mostra antologica dedicata a Uliano Lucas (Milano, 1942) può vantare cinquanta storiche fotografie dell’autore. Come fotoreporter ha saputo descrivere senza pregiudizi o stereotipi iconici il ‘68italiano, il mondo delle fabbriche, gli scontri di piazza, i circoli sociali, l’esistenza nelle periferie, la situazione degli emigranti, le origini del disagio sociale, la voglia di cambiare. Primi piani, i suoi, con i volti incisi in modo irreversibile da fatiche, privazioni, disincanti.
Fausto Politino
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