La fotografia sofisticata di Franco Vimercati in mostra a Roma
Un lavoro fatto di dettagli, che evoca un senso sospeso, focalizzato in maniera ossessiva su oggetti che ritornano. La mostra romana riscopre un grande fotografo del Novecento
“Il vero contenuto del mio lavoro è la ripetizione. La ripetizione ostinata, cattiva o assente, malinconica o violenta, ma solo e sempre ripetizione”, spiegava il fotografo Franco Vimercati (Milano, 1940 – 2001) a proposito della sua pratica artistica.
Per la prima volta esposte in Italia, 60 fotografie appartenenti al celebre “ciclo della Zuppiera”, inaugurano la prima grande mostra a Roma dedicata a Franco Vimercati, presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea in collaborazione con l’Archivio Franco Vimercati e la Galleria Raffaella Cortese.
La mostra su Franco Vimercati a Roma
Il percorso espositivo comprende gran parte della produzione dell’artista, con più di 100 opere realizzate tra il 1974 e il 2000, che si susseguono in allestimento attraverso un criterio non cronologico. Le sale, arricchite con gli oggetti ritratti nelle fotografie, si presentano tutte diverse e svelano il metodo del Maestro partendo dalle sue fondamenta: il tempo, la luce e le emozioni.
In mostra, il lavoro di Vimercati è indagato e approfondito dalla curatela di Susan Bright e dal testo critico della storica dell’arte Doris Von Drathen, che ne danno un’interpretazione a tratti inedita. La ricerca sul fotografo si estende poi al catalogo, edito da Tlon, con testi di Doris Von Drathen, Saretto Cincinelli e della stessa Bright, e al documentario realizzato da Elio Grazioli e Dario Bellini.
Fotografia minimalista? Concettuale? Materica? Franco Vimercati ha saputo creare la sintesi perfetta di linguaggi diversi, attraverso immagini essenziali, pulite, semplici ma soprattutto sofisticate. Scatti che catturano l’attenzione di chi guarda, assorbendolo in un tempo sospeso alla scoperta di minimi dettagli. L’opera del fotografo si completa nell’attività contemplativa dello spettatore, chiamato a tralasciare l’aspetto narrativo di ciò che osserva per andare alla ricerca di “quel granello di sabbia che potrebbe contenere un mondo al suo interno”.
Un lavoro basato su quella che Marco Scotini ha definito “la politica dell’attenzione”, in cui il fotografo si focalizza, in maniera quasi ossessiva, su un unico oggetto, ripreso più volte in bianco e nero e da un’unica inquadratura.
La fotografia di Franco Vimercati
Le fotografie di Vimercati ricordano il pensiero di Giorgio Morandi, quando affermava che “per conoscere non è necessario vedere molte cose, ma guardarne bene una sola”, e s’ispirano al lavoro minuzioso che sta dietro la trama fitta di un tappeto annodato a mano, o all’intrecciarsi delle note musicali di Bach, immaginari tanto diversi quanto costanti nel lavoro del fotografo.
Nel 1973 quando dopo le Belle Arti l’artista scelse di consacrarsi esclusivamente alla fotografia, quasi sin da subito, si rivolse al proprio ambiente domestico, riproducendo una ristretta gamma di oggetti facenti parte dell’arredo o di uso quotidiano. Tali elementi non sono visti però come semplici nature morte ma come la rappresentazione di un’emozione: dietro la ripetizione di quelle forme in bianco e nero si puo’ intravedere un grande senso di familiarità e di calore domestico.
Uno sguardo più approfondito riesce anche a cogliere il legame tra la pratica artistica e la personalità del fotografo, schivo e attaccato al suo ambiente di origine, chiuso nei confronti della vastità del mondo esterno, non permeato dalla mutevole dimensione del vivere altrui.
Spicca, nelle sue parole, “il non voler dare spettacolo, il non essere accomodante, grazioso, ragionevole. Il non voler proporre quesiti ‘intelligenti’ o raffinati esercizi di stile. Cerco di essere il più semplice possibile – insisteva – perché la protesta sia il più efficace possibile. Deve essere secca e penetrante come un chiodo scuro, senza dispersioni di alcun genere”.
Franco Vimercati punta dritto all’essere, mettendo al centro l’io e la ricerca della propria individualità. “Io sono la lastra, ho bisogno di poca luce, di un sospiro, un soffio di luce”, amava dire di sé l’artista.
Arianna Piccolo
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