Un viaggio fotografico attraverso l’Italia. Intervista a Stefano De Luigi
Ha viaggiato per sei mesi, percorrendo i 4.365 chilometri di coste italiane più volte, con la sua macchina fotografica e un blocchetto di post-it. De Luigi ci racconta il suo lavoro sul paesaggio italiano, in mostra a Genova
“Stefano De Luigi parte in inverno e arriva in estate. Segna con piccoli post-it i luoghi da visitare, nella sua carta dell’Italia non c’è più spazio. […] Quasi ogni sera un letto diverso, niente autostrade”. Un estratto dal cortometraggio con la regia di Michela Battaglia, che apre la mostra Bel Paese al Palazzo Ducale di Genova, aiuta a empatizzare con il viaggio che racconteranno le sale. Il Bel Paesedi De Luigi “è un bilancio, l’incontro tra passato, presente e nuovo. Un tentativo di fare pace. […] Ma che cosa è paesaggio? […] Sarà sufficiente una reazione poetica?”.
Il viaggio di Stefano De Luigi in mostra a Genova
Da Trieste a Ventimiglia: Stefano De Luigi (Colonia, 1964; è cresciuto a Roma, vive tra Milano e Parigi) ha viaggiato per sei mesi e ha attraversato 4.365 chilometri del perimetro della costa italiana più volte fino a percorrerne, secondo il suo contachilometri, quasi 20.000. Lo ha fatto a tappe, tornando a casa a Parigi, ripensando, stampando fotografie di piccolo formato sulle quali riflettere e correggere. Il lavoro di De Luigi sul paesaggio italiano origina dal passato, dal ricordo delle giornate trascorse insieme al padre al Museo di Roma davanti ai dipinti e alle incisioni dei vedutisti che ci hanno restituito l’immaginario del Grand Tour, il viaggio che tra il Seicento e l’Ottocento portava in Italia giovani aristocratici, intellettuali e borghesi di tutta Europa. “Siamo di fronte a una descrizione “veritiera” dei paesaggi italiani e tuttavia la narrazione classica, con i neri al posto giusto e i colori rispettati come si conviene, ai quali ci aveva abituato nei suoi progetti precedenti, ha lasciato il posto all’utilizzo di un sistema narrativo diverso, a tecniche diverse che suggeriscono, interpretano una realtà che già il “viaggio in Italia” realizzato nel 1984 da Luigi Ghirri e dai suoi compagni d’avventura ci aveva insegnato a vedere”, scrive Giovanna Calvenzi.
Ne parliamo con il fotografo.
Intervista a Stefano De Luigi
Come nasce l’ispirazione, l’esigenza, di questo progetto?
L’idea di un viaggio in Italia mi affascina da sempre e con questo progetto ho voluto abbracciarla fisicamente in tutta la sua lunghezza. A fare il resto è stata la grande fascinazione nei confronti del Grand Tour, nata dalla passione di mio padre – che ogni giorno perde frammenti di memoria – per le opere dei vedutisti esposti a Roma in un museo dove abbiamo trascorso insieme molti pomeriggi. Alle prime avvisaglie della malattia di mio padre, ho ripensato a quelle visite. Importante, poi, è stata la scoperta del lavoro di due fotografi che hanno lavorato in camera oscura: il cinese Shi Guorui e la tedesca Vera Lutter.
Dunque c’è stato anche un lavoro di ricerca sulla tecnica…
Mi seduce l’idea di poter immortalare l’immagine nel momento in cui i fotoni segnano la materia sensibile perché qui risiede l’origine della fotografia. Con la camera oscura è possibile capovolgere il punto di vista e di farlo all’insegna della lentezza. A completare questa gestazione ci sono state le chiacchierate con il mio stampatore in Francia: grazie a lui ho avuto l’opportunità di sperimentare su una vasta collezione di supporti una speciale tecnica che restituisce nella stampa in bianco e nero una grande varietà di grigi. La mia ricerca aveva iniziato a muoversi in questa direzione, mesi fa, quando sono stato invitato a una residenza artistica dal Festival Planches Contact in Normandia per produrre un lavoro sul territorio in dialogo con l’opera degli impressionisti. Per me, la scelta della tecnica è l’elemento chiave di ogni progetto. E, così, il cerchio si è chiuso: ero certo non mancasse nient’altro.
La fotografia in viaggio
iDyssey, Televisiva e Il Bel Paese. A legare questi tre progetti c’è il racconto dell’Italia attraverso un espediente: la letteratura di Omero e l’esperienza di Ulisse reinterpretata attraverso l’iPhone, la storia della televisione raccontata dal dietro le quinte, la pittura dei vedutisti, la memoria delle visite al Museo di Roma e l’artificio dell’immagine latente. Una ricerca che non sa smettere di guardare all’Italia, perché?
Non vivo in Italia dal 2013 e avevo già vissuto all’estero anche nel periodo tra il 1989 e il 1996 eppure, nonostante questa distanza, non ho mai reciso il legame. Questa volta ho scelto l’Italia come campo di esplorazione senza, però, una lente a far da filtro, ma attraverso l’esperienza del viaggio in carne e ossa. Qui l’ispirazione si è trasformata in un’aspirazione a fare i conti con questo Paese, con la mia storia, con il mio passato, con il mio immaginario da italiano formatosi con la Cappella Sistina sotto al naso. Ma ho bisogno che lo spettatore faccia lo sforzo di chiedersi ogni volta se l’immagine davanti a cui si trova è davvero quello che pensa di guardare. È una vertigine nella quale io sono a mio agio.
Quali sono state le tue letture prima di iniziare il viaggio?
Per me la fase di studio appartiene alla bellezza di ogni progetto fotografico perché significa immergersi in un terreno che è stato calpestato da altri prima di te. Ho sfogliato moltissimi cataloghi dell’archivio fotografico Alinari.
Ho letto Viaggio in Italia di Guido Piovene e altri saggi sul Grand Tour come gli scritti del sociologo Attilio Brilli per un approfondimento storico, sociologico e culturale. È stato il Grand Tour a costruire il clichè dell’Italia come il Belpaese, luogo dell’incanto e dello stupore, ed è stato lo sguardo dei giovani rampolli d’Europa a tracciare l’immagine che oggi gli italiani hanno di sé. Ho studiato la pittura dei vedutisti e ho scoperto che nei loro quadri e nelle loro incisioni gli italiani compaiono raramente e soltanto come minuscole figurine utili a rendere la misura della monumentalità del patrimonio.
Com’è stato il tuo viaggio in Italia?
È stato un viaggio che mi somiglia molto (macchina, musica e naso all’insù), con questo progetto ho realizzato un sogno. Per me ha segnato un ritorno alla lentezza, che lascia spazio all’attesa, al dubbio, all’errore e all’epifania. Durante i sei mesi di viaggio ho rivisto molti amici, e a loro ho domandato, a ogni tappa, suggerimenti e consigli: ho così vissuto una dimensione di provincia, scoprendo destinazioni inattese ed estranee ai circuiti del turismo di massa. Di sorprese e di imprevisti ce ne sono stati tanti, si misurano nella differenza tra la lunghezza del perimetro dell’Italia da Trieste a Ventimiglia, isole escluse, e i chilometri effettivamente percorsi. Ho attraversato Venezia e la Laguna veneta, la Riviera romagnola e il litorale adriatico fino a Leuca, proseguendo lungo le coste ioniche della Puglia e della Basilicata fino alla Calabria, risalendo poi la penisola con le soste tradizionali del viaggio in Italia, da Paestum a Napoli, da Roma e la campagna romana alla cascata delle Marmore, fino a Firenze e alla costa toscana, per arrivare infine a Genova e alle riviere liguri. Con una regola, che ho disatteso per Matera e per le città classiche, mete tradizionali del Grand Tour: non allontanarsi mai oltre 30 chilometri dalla costa.
L’Italia secondo Stefano De Luigi
Quale immagine dell’Italia restituisce Il Bel Paese? Che Italia è quella del “tuo” Grand Tour?
Cosa rivela dei suoi abitanti il profilo di una collina dove fioriscono ulivi coltivati in filari simmetrici? Il paesaggio è la rappresentazione fisica dell’identità di una comunità. E l’Italia è un Paese dove dominano la fiaba e l’orrore, un territorio dove da nord a sud bellezza e bruttezza sono diventati due sostantivi inscindibili: al fianco di una meraviglia che resiste e stupisce stazionano colate di cemento e costruzioni abusive, abbandoni e sciatteria, l’incuria e il disinteresse di interventi improvvisati, non finiti, privi di pensiero sul futuro. Anche da chi ti aspetti che abbia a cuore il bello puoi restare deluso, com’è stato per alcune opere degli architetti italiani degli Anni Sessanta e Settanta. Ho voluto guardare tutto il bello e il brutto dell’Italia attraverso il buco della camera oscura per poter mediare una riflessione sulla necessità di ritrovare l’essenza del guardare, dove resistono la memoria e gli immaginari del passato.
Una fotografia di paesaggio attraverso la “tecnica” dell’immagine latente. Perché?
Il Bel Paese è un progetto che si fonda sulla memoria, la mia e quella che vedo sparire ogni giorno di più dalla testa di mio padre. La sua memoria, la mia memoria di lui, la mia infanzia e l’Italia si fondono nel ricordo dei dipinti che osservavo in sua compagnia da bambino; quei paesaggi diventano così un’immagine latente simile a quella che rimane impressa sul materiale fotografico sensibile, quel momento unico, prima di essere rivelata dallo sviluppo, proprio come un substrato di memoria. La memoria latente è come un’immagine trasportata dalla luce che si fissa su un supporto sensibile della corteccia cerebrale. Sento di aver trovato la tecnica, il linguaggio, per dare corpo a questo intreccio che mi lega alla memoria di persone e luoghi, vissuti o immaginati.
Qual è la cartolina che avresti inviato se avessi potuto scegliere una sola fra tutte le fotografie scattate? E a chi l’avresti spedita?
È una fotografia che non sarà in mostra; non è soltanto uno scatto, è soprattutto il ricordo di un momento che ho vissuto durante questo viaggio. Era la fine di maggio, al termine di una lunga giornata di lavoro in Liguria. Subito dopo un temporale, finisco in una camera d’albergo con vista sul Golfo dei Poeti di Lerici. Dopo il check-in, ordino in camera Spritz e patatine e mi fermo a guardare il paesaggio davanti: le barche dei pescatori si stagliavano all’orizzonte su un mare liscio come olio e tutt’intorno una luce stupefacente. Uno stato di grazia! A quasi sessant’anni, all’ennesimo viaggio in Italia, da questo Paese mi lascio fregare sempre…
Se fosse stata una cartolina, l’avrei spedita a mio padre. È a lui e a mia madre che ho dedicato il libro (Edizioni L’Artiere, con testi di Giovanna Calvenzi e Chiara Ruberti, ndR) che è nato da questo progetto. Per me, oggi, l’Italia sono loro.
Giusi Affronti
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