Luca Maria Patella e l’impronta di un veggente. Il ricordo di Massimo Bignardi  

Lo storico dell’arte Massimo Bignardi è stato curatore di una delle ultime mostre dell’artista. Il ricordo dell’artista da poco scomparso, lo psiconauta tra sperimentazione e libertà di pensiero

Sul finire dei giorni del solleone Luca Maria Patella ci ha lasciato. Con lui scompare una tra le figure dell’arte italiana che, negli anni Sessanta, hanno segnato la svolta delle neoavanguardie. Una figura di difficile approccio da parte della critica, non tanto per le sue capacità di tenere insieme l’elaborazione del pensiero, la riflessione che aveva un profondo respiro umanistico e la capacità di dar spazio alla scienza di dialogare alla pari con la creatività, quanto per l’eclettismo che caratterizza l’intera sua esperienza artistica. Patella guardava oltre, lasciando, come suo solito, le tendenze estetizzanti, in virtù di una contemplazione e di una riflessione sul sempre più stretto rapporto tra arte e scienza, proprio della scena contemporanea. 

La mostra di Patella a Modena

A Luca e a Rosa Foschi, sua moglie, mi lega un intenso periodo di quotidiana conversazione telefonica, dall’inverno del 2020 all’estate del 2021, per la preparazione e l’allestimento della mostra “Luca Maria Patella. Fotografia & extra media, utile ti sia!”, promossa da FMAV Fondazione Modena Arte Visive e allestita nella Palazzina dei Giardini. La mostra disegnava una traccia che, dalle opere della metà degli anni Sessanta, le acqueforti, le tele fotografiche e le immagini realizzate in autofocus con obiettivo fish-eye, tra gli anni Settanta e Ottanta, arrivava alle grandi e rarissime  Polaroid degli anni Novanta. 
La sua eccezionale qualità di artista, in senso lato, cioè che ha espresso pienamente e in grande libertà il suo pensiero, sia attraverso le pratiche della pittura, del disegno, della scultura, della grafica, della fotografia, sia quelle performative del cinema, è l’eredità che lascia alle nuove generazioni. Un’eredità, sia ben chiaro, non di narrazione trattatistica, bensì di risposta ad un’avvertita necessità di esprimere la propria identità esistenziale. Vale a dire, sentire il presente come parte della propria vita, per affermare il senso più alto dell’arte, quella di ispirare e spingere, come sosteneva Bauman, “le persone a continuare il lungo viaggio verso l’idea di dignità umana”. 

Luca Maria Patella. Exhibition view at Palazzina dei Giardini, Modena 2021. Photo © Rolando Paolo Guerzoni
Luca Maria Patella. Exhibition view at Palazzina dei Giardini, Modena 2021. Photo © Rolando Paolo Guerzoni

Chi era Luca Maria Patella

Quale possibile definizione dare alla complessa personalità artistica di Patella? Al suo guardare oltre, come Rimbaud chiedeva agli intellettuali del suo tempo: “Il faut être absolument moderne”. 
Il carattere interdisciplinare della sua ricerca, infatti, è derivato dallo spettro di interessi formativi, che hanno spaziato dal campo scientifico – la chimica in primis – a quello psicoanalitico, dall’ambito filosofico alle sperimentazioni dei nuovi media, alla scrittura. È il profilo di uno ‘psiconauta’ dedito alla riflessione contemplativa sui linguaggi della contemporaneità, sostenuta da un pragmatismo che l’artista definisce “concettualismo complesso”. Il suo approccio interdisciplinare rispecchia la necessità di verificare la tenuta della connessione tra conoscenza e azione, o meglio, di porre, al vaglio della prassi, l’elaborazione concettuale: sullo sfondo, v’è il suo sguardo, attentamente concentrato ad esplorare – in una prospettiva ‘umanistica’ – la condizione dell’uomo, che sta per lasciarsi alle spalle i processi del mondo ‘moderno’.  Il suo eclettismo, infatti, ha una radice profonda che trova rinnovate energie nel suo carattere da psiconauta che guarda al di là del contemporaneo. 
In ogni singola esperienza l’artista si è adoperato di cercare una equilibrata relazione tra il corpo e gli strumenti delle pratiche creative: lo faceva scambiando e intrecciando i ruoli, evidenziando con fermezza come l’immagine sia frutto di una riflessione che chiama in causa sia la memoria, sia quella specificità che hanno le mani. Sapere delle mani, non come manualità artigiana, quanto di una conoscenza elaborativa, pronta a piegare l’astrazione del pensiero in corpo, in forma. 

Luca Maria Patella, Campanaro, 2017
Luca Maria Patella, Campanaro, 2017

Patella tra anni Ottanta e i Novanta

Lo avvertiamo con maggiore chiarezza in alcune delle sue opere maggiormente note, quali ad esempio: le tele emulsionate che danno vita, a metà degli anni Sessanta, al ciclo Terre animate; l’installazione Alberi parlanti & cespugli musicali (interattivi), del 1971, oggi nella collezione dell’Archivio Casa Morra, che conserva un grande fondo di opere dell’artista; le citate grandi Polaroid, alcune oggi nell’archivio dell’Istituto Centrale per la Grafica a Roma.  
Sono certamente queste ultime a riassumere l’attualità dello ‘sguardo’ di Luca, il suo muoversi tra arte e scienza, sollecitando, da veggente, a percorrere tale itinerario nell’iconosfera del digitale, senza sudditanza rispetto all’una o all’altra.
Tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, altri artisti, come per esempio Evergon, avevano ripreso la pratica creativa della polaroid: per Evergon, la grande dimensione della polaroid mira a restituire il valore dell’unicità dell’opera d’arte. Patella non è interessato all’idea di immobilizzare il tempo. La sua attenzione, ancora una volta, guarda al processo di coniugazione ‘arte-scienza’; in pratica, fino a che punto la creatività potesse agire sul processo chimico, entrando in gioco e implicando, come affermava, “svariate ed esatte operazioni ‘in diretta’”.  
E questo è parte dello sguardo del veggente. 

Massimo Bignardi

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Massimo Bignardi

Massimo Bignardi

Massimo Bignardi si è formato negli anni settanta all’Università degli Studi di Salerno con Enrico Crispolti. Insegna Storia dell’arte contemporanea e Arte ambientale e architettura del paesaggio presso l’Università degli Studi di Siena, dove ha diretto la Scuola di specializzazione…

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