Ecco chi era Luca Maria Patella. Il ricordo di Benedetta Carpi de Resmini
Nel 2015 aveva curato una mostra dedicata all’artista morto il 26 agosto 2023. Oggi Carpi de Resmini traccia un ritratto di Patella, raccontando la sua idea di digitale, l’autocitazionismo, i giochi di parole e la sperimentazione tecnica e concettuale
Il pensiero e l’arte di Luca Maria Patella, è un po’ come la vita, mi sorprende ogni volta. Le sue lettere, scritte a mano, fino a poco prima di morire arrivavano inaspettate e facevano immergere in maniera totale e proiettiva nella sua arte (scansionate e inviate dal service sotto casa avevano sempre come oggetto “spedizione per conto del sig. Luca Maria Patella”). Le sue lettere, indirizzate a [Ben à Luc], erano riempite fino al limite, piene di postille, frecce, giochi di parole, sottolineature in colori diversi, parole cerchiate, piccoli disegni; erano e sono il ritratto della sua arte e del suo pensiero.
Il pensiero di Luca Maria Patella
Il suo pensiero che fosse scritto in forma di epistola, racconto o reso in opera era come addentrarsi in un viaggio a velocità differita, alcune volte scorreva lentamente e altre volte erano delle impennate. Siamo “Con e Senza Peso” come spesso lui affermava, perché il suo pensiero porta con sé il peso ma non la pesantezza della Storia. Ecco, le sue famose tele fotografiche ancor oggi rappresentano un itinerario labirintico attraverso svariate tecniche che uniscono scienza e fotografia legate alla chimica strutturale. Affrontava il reale con un intento analitico unendo la sperimentazione tecnica a quella concettuale e attivando un rapporto sinergico e sincronico tra il reale e il linguaggio. La sincronicità e la sinergia di linguaggi diversi emergono costantemente, pensando a Patella.
Ogni volta che si cercava di circoscrivere un discorso, Patella come un sito web apriva il menù a tendina e sceglieva un nuovo argomento, oppure con la leggerezza propria dei sogni, faceva comparire istantaneamente un pop-up che sconfinava in nuovi avventurosi spazi, come se avesse il potere di attivare o disattivare a suo piacimento le sinapsi del tuo pensiero.
Il digitale secondo Luca Maria Patella
Patella mi avrebbe detto che il mio paragone è improprio e peregrino, mi avrebbe rimproverato per la mia fiducia nel digitale e mi avrebbe consigliato di attivare le mie zone dell’emisfero non soggette a quello che definiva “apartheid elettronico”. In realtà Patella era molto più veloce di un meccanismo digitale ma conservava la complessità e la lentezza delle tecniche meccaniche: arrivando ad un’opera d’arte totale.
Come ha ben definito Luigi Meneghelli in occasione di una mostra a Verona nel 2005 (dilloaiPATELLA.it, cat. della mostra, Heart Gallery, Verona, 2005): “Tutto il lavoro di LMP è una continua trappola linguistica e visiva che mentre all’apparenza sembra rincorrere la semplicità e la leggerezza, in realtà riassume in sé la complessità e i misteri che hanno segnato la storia dell’immagine e dell’Arte. La leggerezza è quella dei sogni o quella delle favole che fanno precipitare ogni vicenda in un luogo di transito, in un aldilà inconsueto. Patella non ha mai voluto produrre dei discorsi definiti e conclusi, ma operare affinché si mettessero in moto i meccanismi delle pulsioni inconsuete, delle metafore e delle analogie”.
Lu’ capa tella
Ho sempre immaginato che la chiave del suo lavoro fosse rintracciabile nel gioco linguistico autocitazionista, tautologico e concettuale Lu’ capa tella: Lu’ – in funzione di articolo ma anche di visione e sguardo di Luca a 360° sulla realtà; capa – il pensiero racchiuso nell’immagine sferica della capa/testa; tella – le telline che si attaccano ad ogni propaggine, sono gli elementi che Luca incontrava e che filtrava attraverso il suo sguardo. In questo gioco di parole si racchiude la sua visione, attiva i codici e le tecniche dell’arte per poi frantumarle, arrivando ad una riflessione linguistica e concettuale non solo sulla realtà ma anche sull’arte. Il Fish Eye, metafora dello sguardo, diventa quel dispositivo cosmologico per declinare la realtà: dall’occhio (Paesaggio Misto, 1965) di Rosa Foschi (compagna di una vita e anche lei artista) in cui si riflette il paesaggio e Luca stesso che filma; alle proiezioni cosmiche (Sfere naturali sonore, 1969) che tramite un particolare sistema, ideato dall’artista stesso, non subiscono le deformazioni anamorfiche dovute alla curvatura; per arrivare alle semisfere del Mysterium Coniunctionis, 1984, rappresentazione complessa e psicoanalitica di rappresentazioni astronomiche e mitocelesti del XVII secolo. L’opera di Patella è cosmica, dunque, che sia una cupola, un occhio, una mela o una lente rovesciata, è una proiezione che viaggia con la luce e come tale non può terminare con la cosiddetta “fine delle trasmissioni” ma continua a germinare nelle nuove generazioni. Come ha detto Elio Grazioli: “Patella non ha finito, non finisce mai” (Luca Maria Patella Disvelato, 2020).
Benedetta Carpi De Resmini
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