Mead e Bateson. La prima coppia che raccontò mondi sconosciuti con la fotografia

Che cosa è la fotografia etnografica e come è nata. Storia di Margaret Mead e Gregory Bateson, la coppia che ha liberato la fotografia dalla subordinazione alla parola scritta

La fotografia è una pratica artistica complessa, molto più di quanto possa sembrarlo superficialmente. Lo è in riferimento al dispositivo in grado di catturare la luce, ma anche alle conseguenze culturali scaturite da esso. 
Se è incontestabile che la macchina fotografica permetta imparzialmente che una superficie sensibile alla luce venga da questa modificata in modo da restituirci una rappresentazione dell’immagine che al momento dello scatto si trovava di fronte all’obiettivo, è altrettanto incontestabile che la scelta di quella infinitesima particella dell’universo catturata non è né casuale né del tutto liberamente determinata.
Il dispositivo tecnico non basta a se stesso. Si serve in ogni caso di una rappresentazione autoriale della realtà ripresa e, nonostante la complicata questione della soggettività, fin dalla sua comparsa la fotografia viene investita tra gli altri dal carattere probatorio. 

Gregory Bateson, Margaret Mead, e Reo Fortune
Gregory Bateson, Margaret Mead, e Reo Fortune

Chi sono Margaret Mead e Gregory Bateson

In ogni caso l’invenzione della fotografia ha prodotto una prova, fisica prima e digitale poi, anche in ambiente etnografico e antropologico. Già dalla seconda metà dell’Ottocento la fotografia e l’antropologia si sono servite l’una dell’altra per comunicare la storia in un modo innovativo.
Con l’invenzione del 16mm alla fine degli anni ’30 del secolo scorso si giunge finalmente a un formato maneggevole e leggero, scardinando la modalità di ripresa del presente.
L’antropologia visuale tramite i suoi esponenti non perderà occasione di scendere in campo sfruttando questa novità e conducendo la disciplina verso una nuova fioritura. 
Fino a quel momento la documentazione visiva supportava gli appunti scritti, ma con Margaret Mead e Gregory Bateson non ci sarà più questa netta subordinazione, tant’è che saranno annoverati tra i precursori delle recenti questioni in merito al mezzo di registrazione degli eventi.
I due decidono di servirsi delle cineprese nella loro ricerca sul campo a Bali, producendo moltissimi materiali (6000 metri di pellicola, 25000 fotografie) che verranno montati dai venti ai quaranta anni dopo in diversi film come Trance and Dance in Bali del 1951 e, per quanto riguarda le fotografie, raccolte nel volume Balinese Character. Il libro in questione, secondo Marano, “può essere considerato la prima etnografia basata principalmente sullo studio di fotografie realizzate nel corso della ricerca sul campo” [1]. 

Il metodo di lavoro di Margaret Mead e Gregory Bateson

I coniugi si muovono seguendo approcci complementari: Mead si occupa di trascrivere verbalmente gli avvenimenti mentre Bateson si dedica alle riprese e alle fotografie. Egli riprende perlopiù senza chiedere permesso, seguendo abitualmente i bambini piccoli nella convinzione che essi, essendo per natura spontanei, possano mettere in evidenza gli elementi caratteristici della propria cultura. 
Si ottengono, così, delle fotografie come studi meticolosi degli abitanti di quelle comunità, catturando le espressioni, i gesti, le posture e gli sguardi che rivelano la complessità delle loro vite. Questo concetto viene sintetizzato in una sola parola: ethos, il retroterra emotivo.

Tavole 21 (Posture delle mani nella vita quotidiana) e 16 (Apprendimento visivo e cinestetico II) in Gregory Bateson e Margaret Mead, Balinese Character, New York, The New York Academy of Sciences, 1942
Tavole 21 (Posture delle mani nella vita quotidiana) e 16 (Apprendimento visivo e cinestetico II) in Gregory Bateson e Margaret Mead, Balinese Character, New York, The New York Academy of Sciences, 1942

La fotografia etnografica di Mead e Bateson

Se è possibile descrivere soltanto per immagini una realtà sociale, a causa della complessità interpretativa della stessa fotografia, questa modalità di descrizione deve avere come presupposto un’inchiesta condotta con metodi che vadano al di là della mera applicazione della tecnica fotografica. Ciò vale quando si fotografa sul campo, ma pure nel caso si analizzino materiali d’archivio in un’indagine storica. Ogni rappresentazione etnografica si regge su tre tipi di relazioni: tra chi riprende e chi è ripreso, tra chi riprende e chi guarda, tra chi è ripreso e chi guarda – rivisitando i cardini del pensiero critico di Barthes ne La camera chiara -.
Pertanto, qualsiasi lavoro può essere considerato etnografico soltanto se fornisce informazioni per la ricerca etnografica. “È questo il compito di un antropologo: documentare altri modi di vivere, altri modi di soddisfare le esigenze della condizione umana. Solo così si possono scoprire altri modi di essere, capire che noi possiamo essere diversi.” [2] 
La condizione essenziale è che l’autore non sia incentrato su sé stesso, ma coinvolto dalle relazioni umane instaurate e, nel rispetto del contesto sociale, possa focalizzarsi sull’altro facendo un passo indietro.

Federico Bianchini

[1 ]Francesco Marano, Camera etnografica: storie e teorie di antropologia visuale. Vol. 2, Francoangeli, Milano, 2007
[2 ]Carole M. Counihan, traduzione di Italo Sordi, La fotografia come metodo antropologico, La Ricerca Folklorica, 1980

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Federico Bianchini

Federico Bianchini

Federico Bianchini è nato e cresciuto in Puglia, per poi spostarsi a Roma dove si è laureato in studi storico artistici a La Sapienza. L’interesse per la fotografia continua ad essere una sua prerogativa e si trasferisce a Milano per…

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