La fotografia come messaggio di speranza nel futuro. Intervista a Stefano Guindani

Conosciuto per la fotografia d’alta moda, Guindani è fautore del progetto che traduce in immagini i 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030, per dare forma a un mondo migliore. Ne abbiamo parlato con lui

Sono 17 gli obiettivi sanciti dall’Agenda Onu 2030 per favorire lo Sviluppo Sostenibile. E Stefano Guindani (Cremona, 1969), noto fotografo di moda e reportage, ha cercato di tradurli in immagini con il supporto scientifico dell’antropologo Alberto Salza. Un progetto fotografico – Time to Change – che si muove tra realtà e desiderio, e si è concretizzato con il supporto di Banca Generali, dando vita anche al libro omonimo, disponibile in versione digitale e appena uscito in libreria.
Dal 3 al 30 ottobre gli scatti saranno anche in mostra a Milano, in Corso Vittorio Emanuele, e poi nelle principali città italiane per l’intero 2024. Ma Time to Change è diventato anche un documentario, con la narrazione di Rocío Muñoz Morales, in arrivo prossimamente sui canali Rai.
Abbiamo parlato del progetto con il fotografo.

Ritratto Stefano Guindani
Ritratto Stefano Guindani

Intervista a Stefano Guindani

Ma Guindani è un fotografo di moda, o un reporter di temi sociali?
Il lavoro consueto nel campo della moda e del lusso non mi ha impedito di fare esperienze nel campo dei reportage sociali. Ho pubblicato due libri su Haiti e il centro America con immagini abbastanza forti (Haiti: Through the Eye of Stefano Guindani, MondadoriElecta e Do you know?, Skira). In Do you know? addirittura c’erano pagine ripiegate, perché ho fotografato anche cataste di morti, ma chi le ha viste mi ha detto che gli ricordavano il sorriso dei bambini. Colpire col dramma è facile, ormai i social ci hanno forse assuefatto alle immagini, quindi riuscire a colpire con la bellezza è più difficile, ma anche molto più bello perché porta gioia e speranza. Io punto a questo, alla ‘bellezza che salverà il mondo’, vorrei che rimanesse impressa la bellezza nonostante la drammaticità.

È questo lo spirito che anima il progetto Time To Change?
Sì, proprio muovendo da queste esperienze, con Banca Generali abbiamo pensato a un progetto sui 17 obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Onu 2030. Più approfondivo gli obiettivi, più mi era chiaro che le immagini dovessero essere scattate in tanti Paesi diversi.

Come hai scelto i luoghi in cui scattare?
Inizialmente avevo pensato a tre progetti, uno interamente in Italia, un altro intorno al lago Turkana, in Africa, a nord ovest del Kenya – uno dei luoghi da cui ha avuto origine la specie umana – oppure in giro per il mondo. Grazie al contributo dell’antropologo Alberto Salza, che è anche un caro amico, alla fine abbiamo deciso di mostrare più continenti possibile. Avremmo dovuto toccare anche l’Australia, ma non ci siamo andati per un motivo positivo: i coralli che volevo fotografare hanno smesso di morire e hanno cominciato a rinascere.

Photo Stefano Guindani
Photo Stefano Guindani

Stefano Guindani e il progetto Time to Change

Quando il tuo set è il mondo, produttivamente devi fare i conti con il fatto che gli scenari cambiano continuamente…
Quando lavori a un progetto per tre anni, la trasformazione fa parte del progetto stesso: a volte i luoghi che avevo scelto sono diventati teatro di guerre, come il Congo, ma anche la pandemia di Covid 19 ci ha immobilizzato per un anno e mezzo.

Ma come dare un’immagine a degli obiettivi forse utopici di Sostenibilità mondiale?
L’idea era semplice: raccontare con fotografie e video i goal di sostenibilità, senza ricorrere a immagini stock, e puntando anche su start up o aziende che offrono esempi positivi per analizzare e raccontare a che punto siamo con la loro realizzazione.

Detto così sembra facile, ma gli obiettivi sono abbastanza astratti. Penso al goal 17 Partnership per gli obiettivi, oppure al 16, Pace, giustizia e Istituzioni solide. Cosa scegli per raccontarli?
Al punto 16 abbiamo raccontato la vita dei pastori Gabra che vivono nel deserto tra il Kenya e la Tanzania e attraverso un’applicazione condividono le condizioni meteorologiche con tutti i capi tribù per capire dove spostare il bestiame, che è la loro principale fonte di sussistenza, in modo da trovare acqua. Le associazioni che li aiutano con le stazioni meteo chiedono loro in cambio di poter curare i loro bambini, le donne intanto hanno imparato a utilizzare il microcredito. Insomma, si tratta di una partnership per gli obiettivi vera e propria.

I luoghi di Time to Change

La destinazione più complessa da fotografare?
Direi Singapore, dove eravamo arrivati con grandi aspettative. Lì tutto funziona benissimo e sono ricchissimi, ma c’è un clima terribile, piove continuamente eppure non sapevano come conservare l’acqua.  Allora hanno creato dei bacini bellissimi, tutte le acque vengono riciclate e filtrate con raggi UVB e osmosi inversa, e attraverso un particolare processo tecnologico sviluppato dall’azienda NEWater si riescono a riciclare anche le acque nere. Oggi sono i migliori al mondo nel riciclo delle acque. Quando siamo arrivati con i permessi ufficiali, però, non volevano lasciarmi libertà d’azione per via del protocollo, nel farmi usare il drone.

Mentre scattavi per Time to Change hai mai avuto la sensazione di aver fermato immagini di contesti che presto non ci saranno più?
L’ho avuta spesso, forse perché sto invecchiando. Mi ha emozionato tanto l’Uganda, dove sono andato a fotografare i gorilla, ma forse la foto che parla di più è quella della volpe artica, che è destinata all’estinzione perché nel suo habitat stanno scomparendo i ghiacci. Eravamo a un chilometro di distanza l’abbiamo vista col teleobiettivo e man mano che ci avvicinavamo non scappava: è rimasta lì come per chiederci aiuto. Eravamo alle isole Svalbard per cercare gli orsi, che non abbiamo trovato.

Alessandra Galletta

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