Riflessioni e bilanci su Paris Photo 2023. Intervista alla direttrice Anna Planas

La fiera dedicata alla fotografia, che in questi giorni ha animato la capitale francese, nella sua 26esima edizione ha inaugurato una sezione digitale, pur restando “fedele” alle opere fisiche. Con un bilancio più che positivo, secondo la sua direttrice

Non ci sono ancora le cifre ufficiali di questa 26esima edizione di Paris Photo che ha chiuso i battenti al Palais Éphémère, a due passi dalla Torre Eiffel, ma gli addetti ai lavori mormorano che già solo nei primi tre giorni di fiera si è probabilmente andati oltre i 60mila visitatori contati l’anno scorso. La novità di quest’anno, il settore digitale, può aver influito su questa accresciuta affluenza di pubblico. “Indubbiamente”, – ci ha detto Anna Planas, nuova direttrice artistica della più importante fiera internazionale della fotografia, “il settore digitale attira un pubblico diverso”. Di origine spagnola, cresciuta in Belgio, Planas si trasferisce a Parigi diciannove anni fa e costruisce la sua carriera in campo fotografico. Lavora con organizzazioni francesi e internazionali, assunta alla leggendaria agenzia Magnum prende la direzione artistica della relativa galleria nel vibrante quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Nel 2013, insieme a Pierre Hourquet, fonda Temple, uno spazio espositivo dedicato agli artisti emergenti francesi e internazionali e nel 2019 i Rencontres d’Arles affidano loro la supervisione del progetto Temple Arles Books, fiera dedicata al libro della fotografia e spazio programmatico all’interno del festival. Nel 2020 assume la direzione artistica della libreria-galleria Delpire & co programmando esposizioni e installazioni di artisti come Theaster Gates, Patti Hill, Vivian Maier, Stéphanie Solinas e William Klein, e partenariati con istituzioni, come il Prix du livre Paris Photo – Aperture.

Paris Photo 2023. Photo Valentina D'Amico
Paris Photo 2023. Photo Valentina D’Amico

Paris Photo raccontata dalla direttrice Anna Planas

“In questa 26esima edizione di Paris Photo abbiamo avvertito un’energia immensa. Il pubblico affezionato è venuto a vedere come di consueto soprattutto il settore principale, il cuore di questa fiera, che ha al suo centro un mezzo, quello fotografico, che negli ultimi anni si è evoluto tantissimo. E ha trovato una novità. Avevamo già avuto opere digitali in fiera negli anni passati, quest’anno abbiamo voluto riservare uno spazio dedicato per essere in grado di affrontare questa nuova forma di espressione fotografica, di interpretarla. Abbiamo visto, proprio quest’anno, fino a che punto l’intelligenza artificiale si sia spinta in avanti. La tecnologia avanza rapidamente, gli artisti sono in fermento e ci è sembrata una buona idea di realizzare un settore sotto la curatela di un esperto. Abbiamo inviato per questo Nina Roehrs che ha lavorato seguendo un punto di vista storico, proponendo opere che vanno dagli anni Settanta del Novecento fino ai giorni nostri.  Lungo il percorso”, continua Planas, “è evidente quanto la fotografia nell’era digitale non sia solo quella basata sull’utilizzo di uno schermo, anzi può avere molteplici formati. Negli spazi espositivi troviamo delle stampe, delle applicazioni, dei giochi video, ma anche opere che sono una critica alla sovrapproduzione di immagini come il lavoro di David Horvitz che non propone delle fotografie nel senso tradizionale del termine, non propone immagini, ma la descrizione scritta bianco su nero di un’immagine, l’indicazione della data di scatto e del formato utilizzato e chiede sostanzialmente di immaginare la fotografia che c’è dietro.  Il settore digitale dunque ci ha permesso di andare ancora più lontano, di scavare nella diversità e nella pluralità del mezzo. Ed è straordinario vedere come a Paris Photo abbiamo avuto opere che vanno dalla fine del diciannovesimo secolo fino all’arte digitale e questa è veramente l’essenza, il valore di questa fiera.

Paris Photo 2023. Alcune domande alla direttrice Anna Planas

Come siete riusciti a tenere tutto insieme?
Il nostro pubblico ha l’abitudine di trovare a Paris Photo gallerie che trattano la fotografia storica, vintage, gallerie di opere rare e gallerie di fotografia contemporanea. E poi ci sono le contaminazioni. Pensiamo all’esposizione realizzata nel settore principale da Jean-Kenta Gauthier che è una galleria contemporanea, con Hans P. Kraus che è una galleria storica, un progetto che mette a confronto per l’appunto opere di fine Ottocento con opere contemporanee. Un esempio che rende molto bene l’idea di un percorso che, in tutta la fiera, tiene insieme più epoche. Tutto regge perché passando da un progetto all’altro, ogni galleria ha comunque una specificità molto marcata nell’esporre i propri lavori, i propri artisti.

In questo periodo in cui la fotografia digitale, virtuale, spinge così tanto, in fiera sono state presentate opere molto fisiche. Le opere di Sinta Werner, ad esempio, con la sua stampa Duraclear montata tra lastre di vetro, o gli arazzi di Ana Teresa Barboza, o ancora le opere di Anais Boudot. Opere materiche, che si possono toccare.
Non ci sono più frontiere, c’è una grande libertà nell’uso della fotografia e nel dialogo che la fotografia può avere con altri media, siano essi la pittura, la scultura o la tessitura. Questo è qualcosa che è ovviamente presente nella fotografia contemporanea e che si riflette nelle opere presenti in fiera. 

Anche il settore “Curiosa”, consacrato alla giovane fotografia, quest’anno è stato caratterizzato da una sperimentazione molto marcata, e pur non essendo un settore tematico di fatto si sono riscontrate delle vicinanze tra i progetti, tra gli artisti.
Si quest’anno Curiosa è stata molto varia, con la proposta di una nuova generazione di artisti che ha presentato tutti i generi della fotografia. Dal progetto di Vivian Galvan che ha costruito una camera oscura al centro della fiera, a opere che sono digitalmente modificate, dai fotogrammi di opere uniche di Rebekka Deubner, alle stampe bagnate nel sale di Ilanit Illouz. In effetti una gran varietà di forme fotografiche e di sperimentazione che la fantasia degli artisti può rendere. Ho scelto di non farne una sezione tematica proprio per essere aperta alle proposte degli artisti e se in alcuni casi si intuiscono dei collegamenti, a volte sono proprio le differenze di approccio che possono collegare i progetti. Così come certe preoccupazioni sociali legate al nostro tempo sono trattate da lavori anche molto diversi fra loro. Curiosa non è un’esposizione in effetti, è un settore che ha delle gallerie che fanno delle mostre personali, dedicate alle novità artistiche.

Le gallerie italiane e gli artisti italiani sono stati presenti in un numero maggiore quest’anno rispetto al passato.
È vero, come ogni anno con la direttrice Florence Bourgeois studiamo i progetti e quest’anno c’è stata una grande richiesta da parte delle gallerie italiane, che hanno presentato progetti di altissima qualità, motivo per cui sono stati presenti a Paris Photo quest’anno. Attraverso queste diverse gallerie abbiamo potuto ripercorrere la storia della fotografia, soprattutto di paesaggio, che è ovviamente uno dei grandi temi della fotografia italiana.

Qual è il bilancio, anche personale, di questa 26esima edizione?
Sono molto soddisfatta. È un’esperienza incredibile far parte della creazione di questa fiera che è un immenso progetto collettivo. I team hanno fatto un lavoro straordinario per allestire una fiera che accoglie 150 gruppi museali internazionali, 190 espositori, oltre 60.000 visitatori, cinquanta firme d’artista, tre giorni di conferenze. È un progetto enorme per la comunità fotografica, ma è esso stesso un grande evento fotografico. È l’ultimo anno al Grand Palais Éphémère. Chiuse le porte stasera, da domani ci mettiamo al lavoro per la prossima edizione, per il ritorno al Grand Palais ristrutturato che, offrendo spazi più ampi, si adatta alla realizzazione di un grande progetto che non vedo l’ora di farvi scoprire l’anno prossimo.

Valentina D’Amico

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Redazione

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