Qual è il futuro della virtual photography? Ne parliamo con i suoi protagonisti
La comunità della virtual photography, la fotografia praticata all’interno dei videogiochi, risponde alla provocazione di Artribune: ci sarà mai un Oliviero Toscani di questa disciplina?
In occasione di un evento dedicato al lancio del videogioco Assassin’s Creed Mirage di Ubisoft e alla virtualphotography, la fotografia praticata all’interno di videogiochi, ho chiesto in un articolo uscito qui su Artribune: “dove è l’Oliviero Toscani della virtual photography? E l’industria videoludica è pronta a un Oliviero Toscani?”. La comunità italiana e internazionale della virtual photography ha risposto, facendo iniziare un dibattito che speriamo continui qui e altrove.
Le domande di Artribune sulla virtual photography
Il mio discorso partiva da alcuni degli interventi che si sono susseguiti durante un evento veneziano di presentazione di Assassin’s Creed Mirage, in particolar modo dai contributi del virtual photographer Francesco Favero e del fotografo Paolo Della Corte, docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Emergeva, mi pare, una comprensibile ma forse trascurata tensione tra compagnie che vedono la diffusione di immagini dei loro videogiochi come strumento di marketing, e quindi qualcosa da promuovere introducendo anche specifiche “modalità foto” nelle opere, e il tentativo di sviluppare la virtual photography come una pratica artistica con una sua autorevolezza e una sua indipendenza. “Le persone che si dedicano alla virtual photography si riducono spesso a lavorare gratis pubblicando online immagini che valorizzano le qualità più note e già più pubblicizzate di un videogioco”, scrivevo. “Questo nella speranza che studi e editori notino gli scatti e li benedicano con un retweet”. Eppure, anche la fotografia tradizionale usata come immagine pubblicitaria ha saputo porre problemi e confrontarsi con temi, e per questo mi riferivo alle provocazioni fotografiche di Oliviero Toscani, come il bacio tra prete e suora (Prete e Suora, 1991) di una celebre campagna di United Colors of Benetton. Senza con questo voler dare un giudizio di valore sull’opera di Toscani, ma chiedendomi se oggi si potesse fare una foto con l’impatto e l’ambizione di Prete e Suora attraverso la virtual photography, e se l’industria videoludica fosse pronta a usare una simile immagine in una campagna promozionale.
Le risposte della comunità della virtual photography
Alcuni membri della comunità della virtual photography mi hanno inviato privatamente messaggi rispondendo al mio articolo, e al mio invito a portare in pubblico la conversazione il virtual photographer Davide di Tria ha suggerito di raccogliere i contributi in un nuovo pezzo e Dario Giorgetti, che tra l’altro è intervenuto all’evento di Assassin’s Creed Mirage, si è offerto per spargere la voce. Le immagini che accompagnano l’articolo sono invece screenshot provenienti da Assassin’s Creed Mirage. Nel videogioco, ambientato nella Baghdad abbaside del nono secolo, interpretiamo un membro di quella che in un futuro sarà la “setta degli Assassini” protagonista della serie. Come ho fatto in queste immagini, possiamo esplorare la città anche dall’alto, usando la nostra aquila Enkidu per individuare nemici e obiettivi. Le immagini sono state tagliate e portate in scala di grigi su Photoshop, e suggeriscono un altro possibile approccio alla virtual photography, qui usata come strumento per la critica.
Non c’è (ancora) bisogno di un Oliviero Toscani della virtual photography
Intanto, non tutte le persone che ci hanno scritto hanno considerato rilevante la discussione. “Non penso che la virtual photography abbia bisogno del suo Toscani” ci ha scritto Andre “Andre Revolution” Dias (@RevolutionAndre su X), che lavora come virtual photographer per Nvidia realizzando screenshot e filmati che mostrano le capacità delle schede video della compagnia. “Al momento è una pratica molto nuova, è ancora interessante vedere cosa tutte le persone ci fanno. Forse a un certo punto diventerà un’attività comune e servirà un Toscani per smuovere le acque”. Oppure, nella sua risposta Juan Pablo Navarro (@secondcapture su X), tra i vincitori del concorso di virtual photography Red Bull Capture Point 2022, si è concentrato soprattutto nel celebrare la crescita attuale e le prospettive future di sviluppo della disciplina, che però ammette è restata “un hobby [che] non ha cambiato la vita a molti noi”.
Dove è l’Oliviero Toscani della virtual photography?
Ma, almeno tra chi ha risposto al nostro articolo, generalmente le tematiche che abbiamo sollevato sono sembrate rilevanti (è forse notevole che abbiano risposto però solo uomini). “Ho visto sulla mia pelle come […] lo scambio tra case videoludiche e fotografi virtuali limiti fortemente il contenuto degli scatti” ci ha scritto Davide Calò (@thementorgamingphotography su Instagram), che ha iniziato a sperimentare con la virtual photography durante la pandemia di COVID-19 e che lavora sulla giustapposizione, con conseguente confusione, tra fotografie tradizionali e quelle realizzate nei videogiochi. E per Dario Giorgetti (@dario_other.eyes su Instagram) l’effetto novità della virtual photography è già svanito. “Da un po’ di tempo percepisco una crescente noia del ‘già visto’”, ci ha raccontato Giorgetti. “Mi sembra che l’estetica fotorealistica videoludica e la tecnica fotografica da sole inizino a non essere più sufficienti per mantenere viva e significativa la virtual photography. Penso che a questo punto gioverebbe quindi una crescita, un cambio di paradigma. E penso che per far maturare la virtual photography e la sua community i virtual photographer potrebbero iniziare a interrogarsi maggiormente sul messaggio delle loro foto […]. Cosa raccontare, come inserire nei propri scatti una visione, un’idea personale o persino una riflessione sul mondo”.
Alla virtual photography mancano i fotografi?
“Per fare fotografia in-game serve un fotografo” ci ha risposto Davide Di Tria (@gasoline_photography su Instagram). Di Tria, fotografo professionista dal 2008 e docente di fotografia ed etica dell’immagine, pratica virtual photography(che lui preferisce chiamare “fotografia in-game”) dal 2020 dopo averla incontrata su Instagram e aver capito di poter usare il videogioco come strumento creativo, specializzandosi in videogiochi automobilistici. E secondo Di Tria, al momento, nella scena della virtual photography mancano proprio i fotografi, intesi come persone che abbiano deciso di studiare fotografia, sia come tecnica sia come arte con una sua storia e una sua cultura dell’immagine, facendone una professione. Tale ricerca artistica per Di Tria è necessaria per dire qualcosa con le proprie fotografie e per realizzare opere che abbiano una qualche progettualità, come è necessario imparare a porci come professionisti sul mercato. “L’industria videoludica sarà sicuramente pronta per un Toscani quando sarà consapevole che il lavoro di un professionista non si limita al creare quattro immagini belle ma [che punta] alla costruzione di un discorso che parte dal videogioco ma che si allarga alle sue communities e che può, nella migliore delle ipotesi, diventare anche manifestazione artistica” conclude Di Tria. Un punto di vista simile è quello espresso da Paolo Mantoan (@Yuric83 su Twitter), per cui chi fa virtual photography non dovrebbe essere “solo [una persona] che fa screenshot dello schermo ma [una persona che] fa ogni volta studio e ricerca della composizione che propone andando a guardare dove altri non hanno colto”.
La risposta del virtual photographer Mik Bromley
Una delle possibili cause di questa situazione è, sempre secondo Di Tria, la continua disponibilità di nuovi videogiochi e la voglia dei virtual photographer di rincorrerli senza soffermarsi su una singola opera o un singolo genere. È un’opinione condivisa anche da Mik Bromley (@TheFourthFocus su X), uno dei punti di riferimento del mondo della virtual photography, che ne ha parlato di recente sul canale YouTube Photomode UNPLUGGED da lui co-fondato. “C’è una connessione naturale tra virtual photography […] e industria videoludica, perché la [virtual photography] si è sviluppata dalla necessità dell’industria di catturare le schermate dei videogiochi a scopo promozionale” ci ha scritto Bromley. “Ho sentito nell’industria definire la modalità foto ‘un grande strumento di ritenzione’, cioè qualcosa che fa continuare le persone a giocare a una certa opera più a lungo di quanto farebbero altrimenti”.
Nella sua risposta, Bromley solleva altri due punti interessanti, e tra loro collegati. Al momento, la diffusione dellavirtual photography avviene principalmente sui social network, cioè su piattaforme che sono costruite per la ricerca del “mi piace” immediato e che premiano chi gioca sul sicuro pubblicando scatti che sa che avranno successo. E la mancanza di altre opportunità per la virtual photography è dovuta anche alla problematicità dei diritti d’autore delle opere, perché chi realizza foto nei videogiochi non ha alcun diritto sulle varie proprietà intellettuali rappresentate nell’immagine. Insomma, la crescita della virtual photography dipende anche dalla nostra capacità di ripensare la disciplina del copyright in modo che abbia senso per le nuove pratiche artistiche e digitali.
Matteo Lupetti
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