La Divina Commedia raccontata con la fotografia a Roma
Nove immagini zoomorfe rievocano l’oscurità dell’Inferno Dante, quasi fossero state scattate laggiù. È l’inizio della mostra a Palazzo Barberini che conduce al di là dell’Acheronte
“Nel 2021, anno dantesco, si sono viste cose pop, ultra-pop, le più bislacche. Questo è proprio ciò che mancava, spunti nei quali la tecnologia si associa all’intenzionalità artistica, svelando ciò che non si vede”. Così ha commentato il critico e storico della letteratura Giulio Ferroni all’inaugurazione della mostra dossier Lo sguardo di Dante – The Mimetic Observer, a cura di Alessandro Coco e Peter Lang con il coordinamento di Giorgio Di Noto.
Ospitata nella Sala nove di Palazzo Barberini, la rassegna si compone di 27 opere fotografiche realizzate da Carlotta Valente insieme al suo maestro, Joaquin Paredes. I lavori, divisi in tre sezioni, si ispirano ai modi in cui Dante descrive la luce nelle tre cantiche della Divina Commedia.
La mostra su Dante a Palazzo Barberini
All’Inferno – dove la tenebra è tanto densa da impedire l’infiltrarsi del bagliore divino – sono dedicate nove immagini zoomorfe su carta fotografica ai sali d’argento, pseudosolarizzate secondo una tecnica cara a Man Ray. Un bestiario in cui ciascun animale si carica di una valenza allegorica.
Il Purgatorio, caratterizzato dalla trasparenza, è reso invece da inedite cianotipie retroilluminate su vetro e fondo blu: il primo “dolce color d’oriental zaffiro” che Dante distingue in questo luogo.
Chiudono l’iter rarissimi dagherrotipi al mercurio, resi specchianti dalle lastre in ottone rivestite d’argento. Lavori più concettuali, nei quali le figure si fanno lacunose e indistinte, poiché la sacralità paradisiaca acceca la visione. Significativo il lavoro dedicato al Canto XXXIII, dove, tra sciami di stelle, Carlotta Valente ha riprodotto il cielo del 13 aprile 1300: data in cui, al cospetto di Beatrice, Dante fa ingresso in Paradiso.
Francesca de Paolis
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