La copertina del nuovo Artribune Magazine è dedicata ai corpi non conformi
In che modo lo scorpione si fa portavoce del corpo? L'abbiamo chiesto a Matteo Ribet, studente allo IED di Roma e autore della cover del nuovo magazine cartaceo di Artribune
Il tema della copertina di Artribune Magazine 76 è preso in prestito dalla Biennale Danza di Venezia 2023, che ha indagato gli Stati di alterazione del presente e le possibili visioni alternative che la cultura ci può offrire rispetto ai modelli imperanti. Una rassegna che nasce dalla visione del direttore artistico Wayne McGregor, che curerà la Biennale Danza anche nel 2024 e che spiega: “La nostra consapevolezza nasce da un’impronta somatica, deriva in primo luogo dal corpo. Il corpo arriva alla mente e noi allora percepiamo le cose. L’immediatezza della danza sta nel fatto che tocca tutti i sensi in tempo reale e poi da quello si comincia a costruire i significati. E questo è meraviglioso, credo sia il trasferimento di energia più diretto che si trova nelle diverse forme d’arte“.
A partire da questa consapevolezza abbiamo identificato nel lavoro di tesi del corso triennale in fotografia di IED Roma di Matteo Ribet l’ideale trasposizione visiva del concetto di percezione del corpo e di costruzione dei significati ad esso associati, sia in forma individuale che collettiva.
Matteo prende ispirazione da artisti quali il dadaista André Kertész e le deformazioni del corpo tramite specchi, Cindy Sherman e l’oggettificazione del corpo che si trasforma in manichino, il contemporaneo Igor Pisuk e il suo uso del corpo e dell’AI come strumenti per raccontare un mondo onirico profondamente disturbato e infine Catherine Opie, il cui attivismo queer la porta a scalfire il suo pensiero artistico sulla pelle con lacerazioni e tagli. Tuttavia la scelta dell’immagine di copertina non è immediatamente riconducibile al corpo dell’artista – cosa che invece avviene nella serie completa da cui è tratta – ma si avvale della metafora associando sé stesso ad alcuni animali, in questo caso lo scorpione. Ne abbiamo parlato con lui.
Intervista a Matteo Ribet
Il tuo lavoro è fortemente influenzato dalla tua esperienza personale, vuoi condividere con noi l’origine di queste immagini?
Scandal: alla ricerca di un equilibrio dopo il trauma. Anni fa sono stato vittima di bullismo per via del mio corpo non conforme. Dopo essere stato denudato a forza e deriso da alcuni miei compagni delle scuole medie, cercavo un’immagine di me che sarebbe stata finalmente accettata, vedendo il mio corpo come causa e sintomo della violenza subita e trovando rifugio nei disturbi alimentari.
Dopo aver cercato di dimenticare e di accantonare questa ferita rimasta aperta, decido finalmente di riscrivere ciò che è stato del mio passato, utilizzando il mio corpo sotto un aspetto rigenerativo alla ricerca di uno sdoganamento di categorie e sinonimi d’essere, approdando verso un mondo allucinato e rendendo il mio corpo capace di raggiungere nuove identità.
In tal modo pongo una medicazione su quel trauma che tanto mi tormentava, riuscendo finalmente a trovare una cura al male vissuto nonostante l’odio che ho provato negli anni nei confronti della mia cara pelle.
In questo mondo allucinato si respira costantemente un’aria dura, un’atmosfera di costruzioni fittizie che fanno della mia pelle il vero protagonista, un gioco di contrasti tra anima-corpo-dipendenze e “auto-cura”, che nel mio caso passa e avviene tramite l’immagine del mio corpo. L’uso di Mise-en-scene è un carattere stilistico che rende il progetto capace di oltrepassare le “guide” sociali di conformità al fronte di un vivere più nuovo, sereno e libero, criticando allo stesso tempo una società ancora stupidamente ingabbiata in concezioni e sensazioni decisamente troppo arretrate per lo spettro
identitario che si respira nell’odierno.
L’immagine scelta per la copertina tuttavia non ha direttamente a che fare con il tuo corpo, infatti nel tuo lavoro sono presenti scatti di animali, insetti, oggetti. Come si relazionano questi elementi con il tuo concept?
Parte della mia ricerca ha voluto dare spazio a un concetto di “ribaltamento” sia in ambito performativo sia in ambito animale. Gli oggetti sono spesso “manipolati” e alle volte si distanziano dal loro vero uso e significato base dato.
Un esempio che mi viene in mente è appunto la scarpetta fatta di cocci di bottiglia o l’uso dello specchio, un ventaglio di oggettistica che parla molto di me e che viene usata nella mia quotidianità.
L’oggetto “maschera” è invece uno dei punti cardine del progetto, utile a smantellare etichette sociali e capace di toccare e mettere in discussione il tema realtà-finzione che si cela tra rappresentazione sociale e corporea. Inoltre è un medium per raggiungere nuove “personas” fittizie.
La scelta di proporre fotografie di e assieme ad animali, specialmente insetti, si lega invece ad aspetti per lo più mimetici e camaleontici che si usano in natura per la sopravvivenza, come la mantide orchidea, e sono degli aspetti che richiamano il mio desiderio passato di rientrare e/o nascondermi in una normatività sociale che potesse tamponare il trauma esperito anni fa.
Come ha funzionato il percorso di tesi in IED? Puoi descrivere le varie fasi e la relazione con i tuoi docenti? E con i compagni di classe? C’è stato scambio/confronto?
Il percorso di tesi in IED è stato pressoché positivo per me sia nella parte iniziale scritta che in quella fotografica. Ho avuto la fortuna di avere insegnanti molto interessanti e proattivi con cui mi sono confrontato spesso per arrivare al “prodotto” finale.
Il primo periodo prevedeva una stesura di un saggio, utile per sviluppare successivamente un racconto per immagini.
Negli ultimi mesi l’occasione maggiore per il confronto con la classe era data grazie a un corso di graphic design, culminato nella creazione del prodotto libro finale.
Quali sono i tuoi progetti attuali? E quelli per il futuro?
Attualmente sto lavorando a un progetto di inclusione sociale volto a dar voce alla condizione dei richiedenti asilo sul suolo romano.
Non ho ancora idee precise su un futuro prossimo, ma vorrei continuare a usare la fotografia come medium espressivo per me e per gli altri.
Clicca qui per scoprire l’intero progetto Scandal di Matteo Ribet
IED x Artribune Magazine
Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studentesse, studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. Per il secondo anno di collaborazione abbiamo scelto di affidarci ai temi delle più importanti manifestazioni di arte e design, prendere in prestito spunti di riflessione e restituire immagini fragili ma potenti. Superfici sottili che racchiudono complessi punti di vista.
Le biennali (triennali, quadriennali. quinquennali) sono l’occasione per artisti e designer per riflettere sugli argomenti centrali della contemporaneità. Partendo da manifestazioni del recente passato e tenendo in considerazione le tematiche delle prossime, cercheremo collegamenti espliciti o implicite contrapposizioni e ci interrogheremo proponendo un punto di vista inedito: quello di giovani persone che si affacciano sul futuro.
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