Chi era Gerda Taro? Una mostra a Torino racconta la fotografa insieme al compagno Robert Capa
120 immagini per raccontare il lavoro e la vita di due protagonisti della fotografia di guerra internazionale. Con uno sguardo più preciso su Gerda Taro, dimenticata dopo la sua morte e poi finalmente riscoperta
La mostra che Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino dedica a Robert Capa e Gerda Taro (fino al 2 giugno) copre con circa 120 immagini un breve ma intenso momento della vita di due protagonisti della storia del fotogiornalismo. Sono gli anni che vanno dal loro incontro, nel 1934 a Parigi, fino al 1937. Lui, Endre Friedmann, nato a Budapest nel 1913 viene ribattezzato Robert Capa proprio dalla sua compagna per americanizzarlo e renderlo più interessante agli occhi dei committenti di servizi fotografici, le più importanti riviste dell’epoca. Lei, ebrea tedesca di discendenza polacca, cambierà a sua volta nome: Gerta Pohorylle nata a Stoccarda nel 1910 diventerà la fotografa Gerda Taro. Anni di amore, fotografia, guerra e morte fra la Francia del Fronte Popolare e la Spagna sconvolta dalla Guerra civile. La mostra si chiude proprio con le ultime immagini di Gerda che morirà nel 1937 sul fronte di Brunete, schiacciata da un mezzo militare durante la ritirata delle truppe repubblicane. La prima reporter a perdere la vita su un campo di battaglia.
La storia avventurosa dei negativi perduti
Le mostre dedicate negli ultimi anni a quello che è considerato il più grande fotografo di guerra e alla sua compagna non sarebbero state possibili senza la vicenda avventurosa della cosiddetta “Mexican suitcase”, la valigia messicana contenente 4.500 negativi (con indicazioni precise di luoghi e autori) scattati in Spagna dai due protagonisti e dal loro amico David Seymour (uno dei fondatori nel 1947 dell’agenzia Magnum Photos) che ha permesso di attribuire con certezza molte immagini a Gerda Taro.
“La fotografa è stata praticamente dimenticata dopo la sua morte, solo negli ultimi anni si è stati in grado di apprezzare la sua competenza visiva e di apprezzare un’autorialità femminile non edulcorata o addolcita: sono fotografie che fanno da spartiacque nella storia della fotografia” spiega Monica Poggi curatrice della mostra assieme a Walter Guadagnini, direttore di Camera.
Alla storia della “valigia messicana”, è dedicata una parte della prima sala espositiva. La vicenda è relativamente nota ed è stata oggetto di un documentario The Mexican Suitcase di Trisha Ziff (2011, 86’, verrà proiettato a Camera il 9 maggio), ma di anno in anno si scoprono nuovi dettagli che rendono il viaggio, durato 70 anni fra vari continenti, dei 126 rullini quasi un giallo internazionale. Quando nell’autunno del 1939 Robert Capa, all’approssimarsi dell’invasione tedesca della Francia, deve lasciare Parigi per cercare rifugio negli Stati Uniti abbandona il suo atelier al numero 37 di rue Froideveaux e affida il materiale a un amico fotografo e a un compagno di battaglie sociali. Le fotografie sono compromettenti agli occhi degli occupanti nazisti perché testimoniano l’impegno nel fronte antifascista durante la Guerra civile spagnola e devono essere tenute nascoste. Tutto il materiale d’archivio, probabilmente smembrato in vari canali, prende strade diverse. Tre scatole di cartone custodite in una valigia Louis Vuitton passano di mano in mano, da ex miliziani a diplomatici, da generali messicani a registi e ricompaiono a Mexico City alla fine degli anni Novanta. Sarà Cornell Capa, il fratello di Robert, che riuscirà dopo una lunga trattativa a far sì che nel 2007 le immagini entrino in possesso dell’International Center of Photography di New York, da lui fondato nel 1974.
La morte di Gerda Taro
L’incidente in cui Gerda Taro perde la vita nel 1937 colpì l’opinione pubblica mondiale, tanto che l’azienda americana GUM, produttrice di gomme da masticare, dedicò alla vicenda una delle sue cartoline da collezione intitolata Horror of war per sensibilizzare la popolazione agli orrori della guerra. Bisognerà poi attendere anni recenti per avere la più completa e aggiornata biografia dedicata alla fotografa tedesca. La pubblica Irme Shaber per le edizioni Axel Menges (Gerda Taro with Robert Capa as photojournalist in the Spanish civil war, Stoccarda-Londra, 2019), potendo contare sulle immagini attribuite dopo il ritrovamento della cosiddetta Valigia Messicana. Decisamente più conosciuto dal pubblico italiano il romanzo La ragazza con la Leica (vincitore nel 2018 del Premio Strega) in cui Helena Janeczek ha raccontato in una biografia romanzata la vita della fotografa.
Alla figura della fotografa è dedicato anche il recente documentario Searching for Gerda Taro di Camille Ménager(2021) di cui sono visibili in mostra degli estratti. Gli spezzoni aiutano a fornire delle chiavi di lettura per capire la scelta nelle immagini esposte. Il 1° agosto 1937, nel giorno in cui avrebbe compiuto 27 anni, Gerda viene sepolta nel cimitero parigino del Père-Lachaise. Il funerale e la sua tomba, decorata da due sculture di Alberto Giacometti, sono pagati dal Partito Comunista Francese che la nomina martire antifascista.
Particolarmente interessante la sala dove sono visibili molte foto della Taro scattate dopo l’arrivo della coppia a Barcellona nell’agosto del 1936. I due fotografi riprendono momenti di quotidianità dei miliziani, ma Gerda si dedica in particolare a ritrarre gruppi di donne mentre si addestrano in una spiaggia poco distante dalla città. La sua immagine forse più nota è quella della giovane in ginocchio sulla sabbia che si esercita a tirare con la pistola. La posa militaresca non nasconde però il tocco di femminilità delle scarpe con il tacco.
Uno scatto che denota la cura della Taro per la composizione e riassume visivamente quella che poi diventerà una dichiarazione estetica di Capa: “se le tue foto non sono abbastanza buone è perché non sei abbastanza vicino”.
“Il fotogiornalismo dell’epoca nasce grazie alla disponibilità sul mercato delle prime macchine compatte”, sottolinea Monica Poggi, “in particolare all’evoluzione tecnologica della Leica che permettono agilità di movimento e la possibilità di stare vicino ai fatti“. Anche se Gerda Taro continuerà anche ad utilizzare la Rolleiflex, con negativi di formato quadrato. Dettaglio che è stato molto utile proprio per attribuire a lei molte immagini che fino a qualche anno fa venivano attribuite ad altri.
Dario Bragaglia
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