La fotografia teatrale di Cesare Accetta a Napoli
Scatti penetranti, scenografici, quelli che Cesare Accetta propone a Napoli. Immagini di grande effetto che rievocano ora Caravaggio, ora i dipinti di Segantini e Richter
Dopo otto anni, il fotografo e light designer Cesare Accetta (Napoli,1954) torna a esporre i suoi lavori a Napoli, sua città natale. Questa volta, il “teatro” è la galleria Al Blu di Prussia, dove lo spettacolo comincia appena viene varcata la soglia.
Gli scatti di Cesare Accetta al Blu di Prussia di Napoli
Luce: e ars fuit! E con l’arte, anche intimità di sguardo, percezione e relazione. In Drama, Cesare Accetta, integrando la sua multiforme esperienza luministica ed espressiva come fotografo di scena, light designer, direttore della fotografia – tra gli altri, con Mario Martone – recupera la prossemica del teatro, ristabilendo in fotografia, col ponte dell’empatia, il calore e la vicinanza dei “momenti vivi” di cui la camera, rispetto al live di un palcoscenico, è priva. È il sapore di pièces relazionali empatiche, infatti, a respirare dentro il realismo ravvicinato dei ritratti fotografici della serie.
Per realizzare ogni opera, l’artista ha prima stimolato minimali input registici, chiedendo ad alcune attrici di sintonizzarsi su mood emotivi – agiti comunque in spontaneità libera dalle interpreti – per poi fotografare le loro espressioni, con sguardo ravvicinato e dettagli di grande realismo. E il legame osservativo che ne risulta trova la possibilità di contatto tra fotografato e fotografante proprio nella loro diversità.
I ritratti di Cesare Accetta in mostra a Napoli
E così, le prima fotografie, – accompagnate da un video con suggestioni di Bob Wilson o Bill Viola – indagano il modo in cui il movimento, il tempo e la luce, in un buio caravaggesco, alterano la visione, per rivelare il nucleo autentico dell’emotività.
Complementare è l’altra serie di immagini in mostra, Memini. In essa l’analisi sul medium vira dal riconoscibile al quasi informale, ricavando dal movimento del soggetto, unito a quello della camera, filamenti di luce che quasi smaterializzano il soggetto, rievocando quasi le opere di Segantini o Gerhard Richter.
Polarità di analisi, quella tra l’oscurità quasi statica e realistica della prima serie, e il colore in graffi astratti della seconda, evidenziata e valorizzata dal progetto curatoriale di Maria Savarese, che sfrutta in allestimento i riflessi ambientali e la disposizione spaziale della galleria.
E così, le immagini di Cesare Accetta riportano la fotografia alla definizione di Tarkovskji del cinema come scultura del tempo, accarezzando con un labirinto di mille luci il mistero del Sè e dell’Altro.
Diana Gianquitto
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