Una vita di colore. Franco Fontana protagonista del Brescia Photo Festival
Al centro del Festival, una mostra per celebrare la carriera di uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento. Novant’anni già compiuti, ma ancora vitale come i colori eterni delle sue immagini. Lo abbiamo intervistato in esclusiva
Al centro del VII Brescia Photo Festival il Museo di Santa Giulia dedica una importante mostra a Franco Fontana, maestro indiscusso della fotografia a colori. La rassegna – un racconto che ripercorre tutta la sua carriera – è l’occasione per celebrare (con qualche mese di ritardo) il novantesimo compleanno del fotografo, nato il 9 dicembre 1933 in quella Modena a cui è rimasto legato per tutta la vita e dove ancora risiede.
“Il colore… è la vita” – lo si sente affermare con sicurezza, come se raccontasse una di quelle verità esistenziali che l’umanità ricerca per tutta la permanenza terrena, e che solo con molti anni alle spalle è in grado, raramente, di afferrare. Che i colori siano tutto per Fontana, lo si intuisce guardando le sue foto. Scatti che non vogliono riprodurre il reale, ma rielaborarlo pittoricamente per esprimere l’essenza del fotografo che li realizza. Paesaggi naturali o urbani, liberi dai vincoli geografici, che non documentano, ma esprimono. Nelle sue mani, la macchina fotografica – analogica o digitale che sia: “non m’importa nulla” – diventa un mezzo funzionale a rendere visibile ciò che di solito non lo è: la sua interiorità, il suo vissuto. Come la penna per lo scrittore, o il violino per il musicista.
Cinquant’anni e più di fotografia a colori in mostra a Brescia
Protagonista della grande mostra – curata dallo Studio Fontana, con il sostegno della Fondazione Brescia Musei e in co-produzione con Skira Arte – è il suo amato, e vissuto, colore. Che si vede in più di centoventi immagini che raccontano la sua carriera dal 1961 al 2017, dall’analogico al digitale, abbracciato da subito come un’innovazione utile, da usare a suo vantaggio, e poi “dimenticare”. L’allestimento – connubio sonoro, cromatico ed emotivo – funge da guida alla scoperta del lavoro di Fontana, il cui interesse non è mai stato riprodurre la natura in modo, appunto, naturale. Ma trasformarla, reinterpretarla secondo la propria sensibilità. Quattro sezioni compongono il percorso: in ciascuna di esse, il visitatore va a indagare la presenza del fotografo che ha selezionato e scattato, cogliendo l’esperienza che ora condivide con il pubblico. Paesaggi umani, urbani, naturali, e gli Asfalti. Titoli che devono ridursi a una semplice classificazione di convenienza, di necessità. Ciò che l’autore vuole trasmettere è altro: scompare il campo assolato della Puglia, e così pure le strisce pedonali sulla strada. Emergono forme, geometrie, contrasti. Emergono colori: i colori della sua vita, che la illustrano, la ricordano, e la fanno continuare in eterno.
Gli scatti di Franco Fontana in mostra al Museo di Santa Giulia di Brescia
Dalla prima immagine scattata a Riccione nel ‘61, fino alla più recente del 2017, una mostra da vivere come un unico respiro di colore. Tutto l’allestimento favorisce un’esperienza sensoriale ed emotiva, ancor prima che artistica, invitando a lasciarsi coinvolgere con l’anima da quelle selezioni di realtà che Franco Fontana definisce “tagli scellerati”. Un’audioguida musicale, composta ad hoc da Ivano Giordano, accompagna il visitatore alla scoperta dei lavori del maestro.
Davanti a certe composizioni geometrico-cromatiche così armoniche ed essenziali, è impossibile non chiedersi almeno una volta se questa sia pittura o fotografia. Ci sono scorci di metropoli americane che paiono piuttosto sottratti a qualche piazza desolata di Giorgio de Chirico. Eppure, è tutta realtà frutto della sua pratica del “cancellare per eleggere”: un metodo nato per necessità, e divenuto poi virtù. Come racconta la curatrice, Fontana cominciò a selezionare specifiche porzioni di paesaggio quando era ancora agli inizi della sua passione, e non aveva obbiettivo grandangolare. Se era interessato a qualche particolare in lontananza, l’unico modo era tagliare la pellicola in post-produzione. Ne risultavano immagini piatte, prive di profondità. Ed è quello l’effetto che si ritrova ancora in tutte le opere in mostra, a cui si unisce l’uso spregiudicato del colore. Colore a cui rimase sempre devoto, anche in un periodo storico in cui era oggetto di molte critiche, in quanto retaggio della pubblicità e dunque estraneo alla fotografia creativa.
L’intervista al maestro Franco Fontana
Cominciamo con una domanda che – in un certo senso – abbraccia tutta la sua vita. Che cos’è per lei la fotografia?
La fotografia per me è un modo di vivere. È qualcosa che mi dà soddisfazione, che mi corrisponde come se fosse uno specchio di quello che sono dentro. La fotografia mi fa esistere.
E il colore?
Il colore è la vita. Se si toglie il colore dalla vita, non rimane niente: solo il bianco e nero. Un’esistenza così, che valore potrebbe avere? Nessuno. Nel colore, poi, io rivivo il passato, quello che ho vissuto e che ormai è chiuso per sempre. E sarà ancora il colore – il colore delle mie fotografie – ciò che rimarrà di me, quando me ne andrò.
Come si è approcciato al digitale, quando è arrivato? Con curiosità, o scetticismo?
Ho subito iniziato a utilizzarlo anche io. Sono convinto che sia il risultato quello che conta, e non il mezzo con cui lo si ottiene. Non capisco quelli che sono contrari al digitale: se permette di risparmiare tempo e migliorare il processo, perché non usarlo? In fondo, per me la macchina fotografica è solo un mezzo. La adopero per fare le foto, e poi me ne dimentico. Ciò che importa è quello che si esprime. E il digitale per me è uno strumento con cui esprimermi, come fosse la penna per lo scrittore.
Parliamo della mostra: che immagini ci aspettano? Come interpretarle?
Nessuna delle mie fotografie va vista come qualcosa di documentaristico: non intendono rappresentare la realtà, ma me stesso. Quello che io sono e la quotidianità che è già stata parte di me.
Vale lo stesso per i paesaggi, immagino.
Certamente. Quelli che vedete non sono i paesaggi reali della Puglia o della Basilicata. In essi, sono io – prima di tutto – che divento paesaggio, ed è il paesaggio che diventa me. Chi li osserva, può sempre imparare qualcosa: ne può trarre delle prospettive che altrimenti non avrebbe mai visto.
Testimoni è il tema Festival di quest’anno. Lei, personalmente, di che cosa si sente testimone?
Testimone dello spirito. E dell’invisibile.
Emma Sedini
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