Michele Pellegrino mezzo secolo di fotografia e novant’anni di vita a Torino
Il lavoro di una vita, ancora poco conosciuto, del fotografo che da poco ha compiuto 90 anni in una mostra al centro di fotografia torinese
Michele Pellegrino ha compiuto da poco 90 anni. La mostra che Camera – Centro Italiano per la Fotografia gli dedica riassume in 50 scatti oltre mezzo secolo di percorso creativo che raramente – se non attraverso la ventina di libri pubblicati – ha avuto l’opportunità di avere risonanza oltre i confini provinciali e regionali.
Pellegrino, nato nel 1934 a Chiusa di Pesio, in provincia di Cuneo, è intimamente legato alla sua terra, alle sue montagne e all’arco alpino in generale, come dimostrano le immagini realizzate anche sul versante francese del Monte Bianco.
L’occasione per far conoscere meglio l’opera del fotografo cuneese inizia nel 2017 con la donazione di parte del suo lavoro alla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo che a sua volta si è affidata a Camera per il riordino dell’archivio e la digitalizzazione delle immagini. “Desideravo far conoscere a un pubblico più vasto il lavoro di tutta una vita e grazie alla Fondazione questo sta avvenendo” racconta Michele Pellegrino, presente a Torino all’inaugurazione della mostra e poi a un incontro in cui ha dialogato con il giornalista Mario Calabresi.
“Con Michele Pellegrino, abbiamo immaginato la mostra cercando di concentrarci su 5 sezioni che raccontano tutta la sua produzione e i suoi temi prediletti” spiega Barbara Bergaglio, responsabile Archivi di Camera e curatrice dell’esposizione.
Si parte con le fotografie dedicate all'”Esodo”, lo spopolamento delle montagne cuneesi negli anni ’70, per proseguire con “Visages de la contemplation, gli scatti realizzati da Pellegrino nei conventi di clausura e “Scene di matrimonio”, immagini che svelano il suo lato ironico quando, per campare, faceva il fotografo di matrimoni ma ne approfittava per riprendere situazioni inconsuete e meno ufficiali. Concludono il percorso gli scatti più contemplativi ed evocativi delle sezioni “Le nitide vette” e “Langa”.
Il mondo dei vinti fotografato da Pellegrino
“Ci tengo a precisare che il lavoro sullo spopolamento delle valli cuneesi l’ho iniziato due mesi prima di Nuto Revelli” (che nel 1977 pubblica per Einaudi “Il mondo dei vinti”, ndr) sottolinea con una punta di orgoglio Pellegrino. “E, in Valle Stura, non mi sono fermato a Vinadio ma mi sono spinto in tutte le borgate più sperdute.” Vincendo la diffidenza degli abitanti di quelle terre alte, costretti a vivere in condizioni difficilissime, il fotografo riesce a conquistare la loro fiducia e a entrare nelle case, dove scatta ritratti di contadini, malgari, uomini, donne, bambini. Gli ultimi, rimasti per mancanza di alternative. Molti altri erano già emigrati nella vicina Francia o scesi nelle città per lavorare nell’industria, alla ricerca di un’esistenza meno dura. “Non era un mondo idillico come qualche volta si vuol far credere, c’erano storie durissime da raccontare, fatte di fame, di sangue, di padri che violentavano le figlie, ci si ammazzava per un metro di terra“. Scenari che Pellegrino stesso ha conosciuto direttamente: figlio di una famiglia povera con un’istruzione che si ferma alla quinta elementare, d’estate veniva mandato a servizio nelle fattorie della zona. “Dormivo in una stalla che era stata una cappella dei frati Certosini, fra teschi e ossa di morti; sono scappato ma quegli incubi mi hanno perseguitato per anni. Ma lì ho capito che non mi piaceva essere comandato, una regola che ho seguito anche nel mio lavoro di fotografo, magari rinunciando a qualche commissione. “La ricompensa per mesi di lavoro, da giugno a ottobre, era un mezzo sacco di patate o di castagne” ricorda a distanza di ottant’anni.
Poi, in gioventù, tanti lavori, “ma imparavo in fretta”: piastrellista, muratore soprattutto. La svolta arriva quando a Plateau Rosa si rompe tibia e perone e costretto a letto scopre i primi libri fotografici. “Leggevo molto, di tutto, mi sono comprato una macchina fotografica, ho fatto le prime foto al Monte Bianco durante il periodo militare. Più tardi ho inviato delle immagini stampate in casa alla rivista Fotografare e sono arrivati i primi riconoscimenti e anche dei premi“. Inizia ad esporre nel 1969 e nel 1972 pubblica il suo primo libro.
I monasteri di clausura, nel mondo del silenzio
Visages de la contemplation è un progetto che nasce dopo aver visto il reportage televisivo “Clausura” di Sergio Zavoli. “Ci ho messo 8 anni per riuscire a realizzare quelle immagini, ma io insistevo e alla fine sono riuscito ad entrare in diversi monasteri” ricorda Pellegrino che ha mille aneddoti da raccontare su quelle sue visite straordinarie. L’incontro con la badessa milanese – “bella donna, evoluta…” – la suora che scrive poesie, la gaffe dell’invio della videocassetta di “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman “mi sono ricordato dopo che c’erano scene non adatte alla clausura…”
Michele Pellegrino potrebbe raccontare per ore il backstage delle sue foto nei conventi. Come quando, sulle montagne di Grenoble, riesce a entrare nella Grande Chartreuse “sesto laico in sei secoli”, molti anni prima che il film “Il grande silenzio” di Philip Gröning (Germania, 2005) facesse scoprire il mondo dei frati certosini caratterizzato dalla rinuncia alla parola.
Per Pellegrino “raccontare una storia, un luogo fatto soprattutto di silenzio intriso di spiritualità è complicato. Però, a differenza del cinema, l’immagine è ferma e non “scorre via”, la si può guardare quanto si vuole. Lì dentro non ho mai incontrato persone deluse dalla vita, casomai il contrario, ho conosciuto persone straordinarie che hanno avuto il coraggio di fare una scelta radicale alla portata di pochi eletti”.
Il Monte Bianco, le Langhe: i grandi scenari naturali visti da un maestro
Nei lavori più recenti, Pellegrino esclude la figura umana per dedicarsi alla fotografia di paesaggio, soprattutto di montagna, come raccontano bene le ultime due sezioni della mostra. “Sono frutto di una selezione ancora più impegnativa, dati il grande numero e la grande qualità delle fotografie di tale soggetto presenti in archivio” spiega Barbara Bergaglio. Sembra che l’occhio del fotografo cerchi una dimensione metafisica, giocando con raffinatezza sulle sfumature del bianco e del nero. Durante il lockdown Pellegrino si è messo a fotografare le nuvole dalle finestre di casa poste ai quattro punti cardinali. “Corri, che c’è una nuvola…” gli suggeriva la moglie e nel riprendere le cose più semplici Pellegrino ha trovato l’essenza della fotografia: “scoprire che hai tolto dal caos quel piccolo particolare meraviglioso… non riesco a immaginare il mondo senza fotografia, tutto è fotografia.”
Dario Bragaglia
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