EXPOSED, il nuovo festival della fotografia di Torino raccontato dai suoi curatori
Con quasi 30 mostre diffuse in tutta la città, la prima edizione del festival EXPOSED ha portato a Torino la fotografia internazionale. Ne parliamo con Menno Liauw e Salvatore Vitale, curatori della rassegna
A Torino, il 2 maggio ha inaugurato la prima edizione di EXPOSED Torino Foto Festival, il nuovo festival internazionale della città di Torino che fino al 2 giugno 2024 anima la città con 28 mostre in 23 sedi espositive. Ne abbiamo parlato con i due curatori: Menno Liauw e Salvatore Vitale, Direttore e Direttore Artistico di FUTURES – piattaforma internazionale che comprende 19 importanti istituzioni artistiche europee nel mondo della fotografia.
Intervista ai curatori di EXPOSED
Cominciamo dal cuore della questione, qual è l’obiettivo di un festival come EXPOSED?
Menno Liauw: Quando abbiamo presentato l’application per il progetto ci siamo focalizzati sul carattere internazionale della community, ovvero di professionisti e pubblico che volevamo coinvolgere e sulla necessità di fare un focus sulle ultime tendenze della fotografia contemporanea. L’obiettivo dunque è proporre qualcosa di nuovo e costituire una sorta di “agenda” sullo stato attuale della fotografia. E, considerando che si tratta della prima edizione, molto impegnativa a livello organizzativo per la partecipazione di numerosi soggetti, siamo decisamente soddisfatti. Del resto, data la pervasività del medium è imprescindibile un’approfondita riflessione sullo stesso.
All’indomani dell’inaugurazione, qual è l’idea che vi siete fatti sullo stato della fotografia?
M.L.: Più che un’idea statica, direi che è prioritario mantenere viva una discussione su un medium estremamente dinamico, in costante evoluzione e in cui siamo immersi, vivendo ormai in un universo digitale. In altre parole, decodificarlo può sicuramente aiutare a comprendere il modo in cui influenza la realtà.
Capisco, anche perché le immagini, come le parole, costituiscono un linguaggio e, come tale, hanno il potere di “plasmare” la realtà
Salvatore Vitale: In effetti, ciò che ci interessa è proprio scoprire come la fotografia possa influenzare la società. Per questo, abbiamo cercato di offrire una lettura trasversale del panorama della fotografia internazionale, proponendo progetti anche molto diversi tra loro; da quelli iper digitali e tecnologici, focalizzati principalmente sulla tecnica; ad altri dal carattere sociale, dunque, attenti più ai contenuti che al medium. Abbiamo organizzato anche diversi talk, dibattiti, eventi collaterali, per indagare con i protagonisti le attuali prospettive della fotografia ed eventualmente valutare come cambiarle.
Con che criterio avete selezionato gli artisti?
M.L.: Il primo, imprescindibile parametro è stata la valutazione qualitativa di ciascun progetto e ricerca.
S.V.: Poi, dato che volevamo portare una ventata di novità abbiamo cercato di fare il punto sul medium, di “fotografare” lo stato di transizione della fotografia; per capire dov’è oggi e, soprattutto, dove sta andando. Per questo abbiamo costruito un festival che offre sia un approccio tradizionale al medium, attraverso un classico storytelling; sia un altro più tecnologico.
Per comprendere meglio lo scenario, qual è l’età media degli artisti coinvolti?
M.L.: Effettivamente, ora che mi ci fai pensare devo dire la maggior parte degli artisti coinvolti hanno circa trent’anni, sono nel mezzo delle loro carriere. Una scelta casuale, non deliberata; anche se abbiamo consapevolmente deciso di non coinvolgere grandi nomi per mantenere ampia l’offerta culturale e la visibilità di tutti gli artisti coinvolti.
Exposed è un festival internazionale ma, secondo voi, la fotografia si può considerare come un linguaggio transnazionale, in grado di eliminare confini e barriere?
S.V.: Sarebbe bello poterlo dire ma non è così. Per quanto la fotografia, a livello tecnico, sia ormai molto accessibile, il problema sono le opportunità di presentazione e visibilità del proprio lavoro. Il punto di vista prevalente è sempre quello occidentale, perché occidentali sono i circuiti di presentazione delle foto, da cui molti Paesi – per diverse e complesse ragioni – sono ancora esclusi. Le prospettive da cui osservare la realtà sono molteplici ma quella occidentale è ancora privilegiata. Con Exposed abbiamo cercato di estendere lo sguardo quanto più possibile, creando un festival inclusivo e aperto ad accogliere diverse visioni e versioni del mondo. Del resto, abbracciare diversi punti di vista e prospettive è essenziale per non banalizzare o appiattire lo sguardo.
Mi potete dire di più sul tema prescelto: I nuovi paesaggi?
S.V.: Certo, ricollegandomi alla domanda precedente, il tema nasce dalla volontà di “sconnettere” Exposeddalla geografia, per questo abbiamo parlato di nuovi paesaggi. Poi volevamo proporre un concept di ampio respiro che permettesse di indagare liberamente le possibili evoluzioni degli scenari della fotografia, di prospettarne un futuro. Parallelamente, essendo la prima edizione, abbiamo volute proporre un tema che offrisse anche l’opportunità di riflettere sull’origine del medium, sulla tradizione.
L’organizzazione del festival EXPOSED
Qual è stata la fase più complessa nell’organizzazione del Festival?
M.L.: Sicuramente quella logistica. Exposed è davvero un festival di notevoli dimensioni che coinvolge un ampio numero di soggetti non solo in termini di artisti ma, soprattutto, di location. Penso che la sfida sia stata quella di organizzare una manifestazione diffusa su tutto il territorio cittadino, perché con ventitré location coinvolte gli interlocutori sono più che moltiplicati. E, considerando che siamo partiti da semplici schizzi, quindi da zero, possiamo dirci soddisfatti. Abbiamo costruito tutto, a partire dal nome; il team, le partnership, insomma, dietro questa prima edizione di Exposed davvero c’è un intensissimo lavoro. Sicuramente abbiamo posto le basi anche per le edizioni successive. Mentre, per noi che collaboriamo da oltre cinque anni la fase della direzione artistica è stata molto bella e creativa.
S.V.: Condivido a pieno, abbiamo creato una grande macchina organizzativa dal nulla. Per quanto riguarda più propriamente la direzione artistica, vorrei aggiungere che abbiamo compiuto un grande lavoro di ricerca a monte, nella fase di progettazione, analizzando gli altri eventi della stessa tipologia. Perché, parliamoci chiaro, oggi esistono numerosi festival di fotografia, quindi dovevamo capire come distinguerci e proporre qualcosa di diverso e nuovo.
A proposito di medium, qual è il vostro punto di vista sull’Intelligenza Artificiale?
S.V.: Penso che l’AI sia uno strumento, che in quanto tale non possa essere classificato di per sé né “buono” né “cattivo”, ma in base al suo utilizzo. Il rischio maggiore è quello delle fake news ma, nello stesso tempo, è evidente che possa anche rappresentare un’opportunità se usato con intelligenza.
M.L.: Sono d’accordo, ritengo che vada approfondito e studiato perché può essere una lente molto utile attraverso cui guardare il mondo. Penso che sarebbe importante anche portarlo nelle scuole ed insegnarlo, dato che ormai si tratta di una realtà imprescindibile.
Per finire, che consiglio dareste e a chi desidera visitare Exposed?
S.V.: Il mio suggerimento è di visitare il festival con una mente aperta e tanta voglia di scoprire, non solo la fotografia ma anche la città. M.L.: Sono d’accordo, la particolarità di Exposed è di essere diffuso, quindi va vissuto come tale; considerando che dietro ogni mostra ci sono persone diverse. L’ideale poi sarebbe visitare quante più mostre possibili per ampliare ed arricchire la propria visione con punti di vista molto eterogenei, magari iniziando da quelle collocate nei luoghi principali come: GAM, OGR, Castello di Rivoli, tenendo presente che possono avere durate diverse, in molti casi estese anche oltre il 2 giugno, quindi si consiglia sempre di consultare il sito per acquisire precisi riferimenti logistici.
Ludovica Palmieri
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