Un archivio decoloniale di Porto Rico. L’opera di Pablo Delano alla Biennale
Al Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale di Venezia, Pablo Delano espone una raccolta di materiali che raccontano il passato coloniale di Porto Rico. L’abbiamo intervistato
Riproduzioni di fotografie vernacolari, visori per stereoscopie, souvenir e oggetti pop raccontano l’immaginario coloniale di Porto Rico nel progetto on going The Museum of the Old Colony di Pablo Delano (San Juan, 1954, vive a West Hartford, Stati Uniti) esposto permanentemente al Museum of Contemporary Art of Puerto Rico e presentato per la prima volta in Italia al Padiglione Centrale dei Giardini della 60esima Biennale di Venezia nella mostra Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere curata da Adriano Pedrosa.
L’opera di Pablo Delano alla Biennale di Venezia
“The Museum of the Old Colony è un’installazione concettuale basata su materiali di archivio, esamina le persistenti strutture coloniali attraverso la lente dell’esperienza di Porto Rico. L’isola caraibica – a partire dall’arrivo di Cristoforo Colombo nel 1493, che ha portato alla dominazione spagnola – ha vissuto oltre cinquecento anni di dominio coloniale. Dopo la guerra ispano-americana del 1898, Porto Rico è diventato un territorio non incorporato dagli Stati Uniti e ha dovuto affrontare diversi effetti politici ed economici negativi, tra cui l’espropriazione capitalistica, la gerarchia razziale e un’idea di cittadinanza senza diritto di voto alle elezioni presidenziali statunitensi. Il titolo dell’installazione fa ironicamente riferimento alla complicità dei musei e alla marca di una bibita statunitense molto popolare a Porto Rico, evidenziando come il potere e la presenza degli Stati Uniti siano fondati sullo sfruttamento coloniale, sull’igienismo e sulla gerarchia razziale in molteplici modi: dalla circolazione di beni, popoli e valori al reclutamento di antropologi, missionari, fotografi e politici a sostegno della matrice coloniale” scrivono Amanda Carneiro e Adriano Pedrosa.
Le immagini dell’archivio di Pablo Delano
A rafforzare questa narrativa coloniale è la scelta da parte dell’artista/collezionista di giustapporre volti anonimi accanto ad altri notissimi, come quello dell’attivista Lolita Lebron che dedicò la sua vita alla lotta per l’indipendenza di Porto Rico, evidenziando anche il ruolo della didascalia nella politica dei dominatori. In una stereoscopia prodotta all’inizio del Novecento dalla nota Keystone View Company, l’immagine di un gruppo di bimbi nudi sulla spiaggia che guardano verso il mare, con le spalle all’osservatore è accompagnata da una didascalia quanto mai esplicita: “In attesa dello Zio Sam – sulla spiaggia a Porto Rico”.
Intervista a Pablo Delano
Colonialismo e post-colonialismo sono temi che hai affrontato anche nel tuo lavoro di fotografo, scattando per anni a Trinidad e Tobago oggetto del libro In Trinidad (2008). Cosa ti ha portato alla costituzione di The Museum of the Old Colony collezionando materiali d’archivio?
Non è cominciato come un archivio. È quello che ho visto durante la mia infanzia a Porto Rico. Sono testimone, ricordo tante scene di quelle riprodotte in queste immagini, come i marinai americani che camminavano per la strada come se fossero i padroni, guardando la gente del posto dall’alto in basso. Li ho visti anche pisciare per strada. Anche tutto questo mi ha portato all’interesse per la fotografia e alle immagini stesse, collezionando foto del periodo appena successivo all’invasione americana del 1898. Non sapevo esattamente perché, ma negli Anni Novanta ho cominciato a raccoglierle. L’archivio si è formato nel tempo con le foto e i libri che ho comprato via via.
Quindi non è nato come opera d’arte…
Esatto, ho pensato di farne un’opera d’arte quando sono successe un paio di cose. La prima è stata il Puerto Rico Oversight, Management, and Economic Stability Act, firmato nel 2016 da Obama per aiutare il paese dalla grave crisi economica. Una legge che però ha determinato una situazione estrema per il popolo con i tagli dei servizi e gli aiuti per programmi governativi, ma anche con la privatizzazione delle compagnie elettriche e del gas. Il tutto per cercare di salvaguardare gli interessi delle banche americane e degli investitori di Wall Street. La seconda è stata il grande uragano Maria che ha colpito Porto Rico il 20 settembre 2017 e la mancanza di aiuto da parte di Trump. Queste sono state le motivazioni che mi hanno portato a fare questo lavoro che affronta la tematica colonialista in modo non didattico o come una predica. È il mio modo personale per creare un contatto diretto con lo spettatore per mostrare che noi portoricani siamo molto coraggiosi e resistiamo, ma siamo stati sempre oppressi dalle forze esterne.
L’archivio è costituito da riproduzioni in grande formato di fotografie e stereoscopie originali.
Per me non è importante che l’archivio entri in possesso degli originali. Non mi interessa il loro valore come oggetti quanto il loro contenuto. Le riproduzioni sono perfette e mi permettono di usarle in mostra senza problemi di assicurazione o allestitivi.
I soggetti ritratti sono persone anonime, ma anche figure di spicco della storia di Porto Rico come Lolita Lebron.
Tu la conosci ma molte persone non sanno chi sia. Ci sono due tipi di pubblico, uno che non conosce la storia ma si sofferma sulle immagini pensando, come nel caso di Lolita Lebron, che quella donna ha un volto che esprime grande forza. Poi c’è chi conosce la storia. Tutti i portoricani sanno chi sia ma fuori dal Paese sono in pochi a conoscerla. Ci sono anche altre immagini di figure storiche importanti, tra cui Felisa Rincón de Gautier (doña Fela) che nel 1946 è stata la prima donna sindaco di San Juan.
In The Museum of the Old Colony foto e video, in vengono accostate a oggetti pop come la Barbie Puerto Rican, il cibo in scatola, souvenir kitsch…
L’oggetto più importante che mi ha ispirato nel nome di questo archivio è la bevanda Old Colony, originariamente prodotta negli Stati Uniti per l’esportazione. Questa marca è stata venduta ad una ditta indiana e oggi viene prodotta in due gusti, uva e ananas. L’uva non viene coltivata a Porto Rico perciò il sapore è artificiale, inoltre la bevanda contiene tantissimi zuccheri ed è un paradosso in un Paese in cui ci sono grandi problemi di salute legati al diabete. La bottiglia di Old Colony è stata il punto di partenza per raccoglierne altri che espongo insieme alle fotografie vernacolari. La foto del marinaio con la macchina fotografica è particolarmente simbolica, perché rappresenta lo sguardo coloniale attraverso il punto di vista della fotografia stessa.
Come mai in questo archivio non è presente il lavoro di tuo padre Jack Delano, che è stato un importante fotografo della FSA-Farm Security Administration, autore di numerosi reportage dedicati all’isola caraibica a partire dal 1941-42, pubblicati anche nel libro Puerto Rico Mio?
Probabilmente le ragioni sono molto più complicate di quello che potrebbero sembrare e mi costringerebbero ad andare da uno psichiatra [ride]. In fondo, però, il motivo dipende dal fatto che ho preferito non utilizzare fotografie realizzate da fotografi noti. Anche la maggioranza delle fotografie sui giornali non è firmata. Trovo che siano molto più interessanti le foto anonime per il modo in cui sono state usate per esporre una precisa narrativa di propaganda. Anche le foto di Jack Delano o di Arthur Rothstein ed altri fotografi della FSA-Farm Security Administration che hanno fotografato a Porto Rico, pur avendo un taglio diverso rappresentano un altro tipo di appropriazione. Può darsi che ad un certo punto decida di inserire nel progetto anche questo tipo di foto, ma al momento non so dove The Museum of the Old Colony andrà a finire.
Manuela De Leonardis
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