Burri, Vedova e Nitsch negli scatti di Aurelio Amendola. La mostra a Venezia
Tre maestri del Novecento si incontrano allo Spazio Vedova nel sestiere veneziano di Dorsoduro. Una “danza fotografica” coordinata da un altro grande maestro: il fotografo Aurelio Amendola
A ottantasei anni, Aurelio Amendola (Pistoia, 1938) è forse il professionista più celebrato tra quanti si siano occupati di fotografia dedicata alle sculture del Rinascimento. Ma almeno a partire dalla seconda metà degli Anni Cinquanta, la frequentazione degli studi di grandi maestri ha affiancato la sua prima passione, portandolo a documentare le vicende dell’arte contemporanea: davanti al suo obiettivo hanno “posato” de Chirico o Pomodoro, Schifano, Lichtenstein e Warhol, ma anche tra gli altri Marini, Vangi, Kounellis, Pistoletto e Paladino.
La mostra di Aurelio Amendola
A Venezia La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova ora propone in tre sezioni affiancate le immagini dedicate ad Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006) e Hermann Nitsch (Vienna, 1938 – Mistelbach, 2022): in tutto ventitré magnifiche stampe di grande formato a partire da scatti realizzati esclusivamente in analogico affiancate da tre opere Plastica M1 (1962) di Burri, Non Dove/Breccia 1988 III (op. 1 – op. 2) (1988) di Vedova oltre a 18b.malakton, (1986) di Nitsch e un godibile filmato finale. Se i soggetti non sono una novità assoluta (di pubblicazioni ed esposizioni Amendola durante sessant’anni di carriera ne ha avute molte) l’“impaginazione” effettuata dal curatore Bruno Corà suggerisce una lettura decisamente nuova.
L’incontro tra Vedova, Burri e Nitsch nelle foto di Amendola
Sui mattoni dipinti di bianco di questo spazio che è il medesimo ritratto nelle fotografie dove Amendola si era misurato con Emilio Vedova i tre maestri prescelti danzano. Burri a Città di Castello, Vedova esattamente qui e Nitsch nel Castello di Prinzendorf a Vienna, davanti all’obiettivo di Amendola, si cimentano in un paso doble: Nitsch lo inscena con tele stese a terra o appoggiate al muro avvalendosi di spugne, secchielli o scope; Vedova utilizzando le sue caratteristiche superfici rotonde appese al soffitto e tormentate con pennelli a bastone; Burri aggredendo supporti di ogni genere con la fiamma ossidrica.
La pittura in movimento di Burri, Vedova e Nitsch
Nel 1950 il magazine Life con l’articolo Jack the dripper porta all’attenzione del grande pubblico la danza ubriaca che Jackson Pollock esegue su una tela posta a terra sgocciolando colore da un grande pennello che intinge in un secchio. Non so dire quanto in particolare Vedova negli Anni Ottanta, o Nitsch ripreso da Amendola nel 2012 ne fossero al corrente. Di certo forme di partecipazione totali dell’intero corpo nell’azione erano già stata sperimentate dai gruppi dell’avanguardia agli inizi del Novecento: in particolare nelle azioni dadaiste di Cabaret Voltaire a Zurigo e nel Teatro della crudeltà di Antonin Artaud a Parigi. Se le immagini di Amendola rendono con efficacia le contorsioni di Burri ripreso davanti ai suoi supporti negli Anni Settanta, alcuni scatti fanno dell’intero corpo di Vedova e Nitsch l’oggetto della loro stessa opera: questi ultimi appaiono imbrattati, sospesi o pensosi di fronte al concludersi della loro azione di certo dispendiosa tanto dal punto di vista psichico che da quello “fisico”. Se la danza di Pollock era il frutto (anche) delle terapie junghiane a cui si sottoponeva, Burri con l’aggressione alle materie, Vedova con il naufragio nel colore e Nitsch con la sua abreazione gli rispondono a specchio.
Aldo Premoli
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