I migliori stand della fiera di fotografia Paris Photo 2024 a Parigi
A nemmeno un mese dalla riapertura del Grand Palais, il padiglione riapre con l’obiettivo di promuovere gallerie internazionali e francesi, dando particolare attenzione ai giovani artisti e ai libri di fotografia
Paris Photo ritorna “per scrivere un nuovo capitolo della sua storia” nella sede del Grand Palais con 240 espositori da 34 Paesi. A nemmeno un mese dalla riapertura con Art Basel Paris, il padiglione torna a promuovere gallerie internazionali e francesi, ma soprattutto a dare attenzione ai giovani artisti e ai libri di fotografia. In occasione del centenario del Surrealismo, poi, la fiera ha invitato il regista e artista multidisciplinare Jim Jarmusch a realizzare un percorso tematico di opere selezionate tra i vari stand.
L’edizione 2024 di Paris Photo
Il clima è frizzante non solo per gli innumerevoli calici di Ruinart che si vedono passare già dal primo pomeriggio. Grande affluenza con un collezionismo più informato ed attento. Gli espositori partono contenti alla fine del primo giorno con molte vendite già concluse e altre ancora in corso d’opera. Gli stand hanno meno l’aspetto di mercati, in cui si trova spesso un’accozzaglia di opere mal assortite, ma più di piccole mostre curate e legate da un fil rouge tematico ben definito. La fiera parigina quest’anno offre ben cinque sezioni diverse: Main Sector, Voices Sector, Emergence Sector, Digital Sector e Book Sector. Il Main Sector, che si distribuisce nella navata principale del Grand Palais, ospita 147 gallerie, di cui 26 nuove arrivate della scena internazionale. Il Voices Sector è il nuovo settore lanciato quest’anno per invitare personalità dell’arte dallo sguardo sensibile a prenderne parte. Sul ballatoio al primo piano l’Emergence Sector, curato da Anna Planas, mostra il dinamismo dell’arte contemporanea con 23 progetti monografici. Quindici tra gallerie e piattaforme curate animano il Digital Sector a cura di Nina Roehrs nel racconto della fotografia all’epoca del digitale. Infine il Book Sector si sviluppa in una nuova sezione del primo piano e riflette sull’importanza dei libri di fotografia come riflesso della storia del medium stesso. Vediamo ora i migliori stand della fiera.
Julian Sander
La galleria tedesca con base a Colonia si presenta imponente all’ingresso della fiera con uno stand composto da un’unica parete lunga più di dieci metri, in cui presenta un solo di August Sander (1876 – 1964). Julian Sander, gallerista e pronipote del fotografo, ha deciso di esporre il suo “magnum opus” dal titolo People of the 20th Century. Ritratti in bianco e nero di uomini e donne del Novecento raffigurati nei loro abiti da lavoro o di vita quotidiana che vanno a comporre la società, proprio perché si ritrovano tutte le classi sociali e le professioni dell’epoca, “dai senzatetto al Gran Duca”. È la prima volta che il progetto completo, composto da 619 fotografie (stampe alla gelatina d’argento) viene presentato in Europa. I lavori sono stati stampati dai negativi originali dal padre Gerd Sander negli Anni ‘90, partendo da ricerche e studi avviati già quindici anni prima. Così August Sander ci mostra unitamente il suo obiettivo: “Dare la vera psicologia del nostro tempo e delle nostre persone”.
Michael Hoppen
Arrivati allo stand B41 della galleria londinese si respira subito aria di storia. La galleria presenta delle chicche proprio perché mostrano dei fotografi ormai più che storicizzati, ma le cui fotografie sono ancora inedite, o per lo meno non alla mercé delle pubblicazioni più sdoganate. Con pezzi che vanno dai 5.000 ai 150.000 GBP lo stand di Michael Hoppen attira per il suo display. Le fotografie sono per lo più esposte in mensole di metallo che conferiscono quella tridimensionalità all’oggetto-fotografia che lo spettatore coglie solo in seguito al ricordo dello sguardo e l’ulteriore dinamicità viene conferita dall’alternanza con immagini a muro. A colpire l’occhio lucido, arrossato, malato, disperato di Irving Penn su un volto bianco che continua a subire ossessivamente non uno ma ben due mascara tanto da rendere le ciglia lunghe ma pastose, folte ma grumose. Un piccolo e delicato ritratto del 1923 di Man Ray, pezzo unico, ritrae l’amico e scrittore Henri-Pierre Roché nel momento in cui viene abbracciato dal corpo nudo di Helen Hessel che lo copre quasi completamente. La fotografia di Henri Cartier-Bresson Natcho Aguirre, Santa Clara, Mexico del ‘34 pare il ritratto di un abuso, anche se l’immagine sembra costruita: il busto di un uomo di colore rappresentato seduto a gambe tese con i jeans sbottonati e le mani chiuse a pugno, incrociate quasi a mimare i capezzoli nascosti in un gesto di protezione; accanto due ripiani distinti con delle scarpe da donna con il tacco riposte in maniera disordinata, indice del Surrealismo più simbolico ed onirico. Dora Maar si alterna a Guy Bourdin, Laszlo Moholy-Nagy a Kansuke Yamamoto in un ritmo esaltante che ti fa riporre grande certezza in ciò che è stato.
Staley-Wise
Stand decisamente più frivolo e spensierato ma con un macrotema decisamente esplicito: il rapporto tra l’uomo e l’animale in fotografia. Al centro Patrick Demarchelier con Christy and Mouse del ‘99 con la top model Christy Turlington che posa impassibile nonostante il piccolo e inquieto topolino bianco sulla spalla. David LaChapelle con le sue Shoes to die for con questo tacco a forma di pinna di squalo indossato da un paio di gambe all’aria sulla cresta dell’onda. Si torna anche indietro agli Anni ‘50 – ‘60 con il ritratto di Picasso con il suo dalmata Perro di Edward Quinn, o Peter Beard con la sua I write whenever I can con un ragazzo intento a scrivere placido con ormai la metà del suo corpo divorata da un coccodrillo.
Christian Berst Art Brut
La galleria parigina apre con delle pareti dai toni pastello tra il rosa e il verde, accompagnate agli angoli da tende plissettate gialle, decisamente adatte a ospitare il lavoro di John Kayser (1922 – 2007), selezionato anche da Jim Jarmusch. Esposte settanta fotografie dell’artista americano, insieme a dei film Super 8, che ritraggono donne nude intente ad approcciarsi agli oggetti o alle azioni più impensate con un intento quasi più speculativo che erotico. Kayser ha realizzato queste fotografie tra il 1959 e il 1976 senza l’intento di fare circolare le immagini prodotte, anche perché più che artista lui lavorava nella compagnia aerospaziale di Los Angeles.
Gagosian
Gagosian la vince facile con uno stand dal titolo AVEDON & ME, curato da Tyler Mitchell. I colori sono saturi sulle pareti bianco opaco dello stand. A colpo d’occhio l’immagine anche se pare scomposta è calcolata e definita nei minimi dettagli. Il giovane fotografo americano, classe ‘95, mette in conversazione la sua produzione degli ultimi sei anni con quella di Richard Avedon (1923 – 2004). Decide di mostrare il suo rapporto con la moda creando dei parallelismi inevitabili, l’allievo che guarda al maestro, tra una Elizabeth Taylor di Avedon con piume scure che le avvolgono il volto e la sua Anok Yai, modella americana di origini sud sudanesi, raffigurata con una chioma afro quasi leonesca. Avedon però dagli Anni Sessanta si concentra di più su degli spaccati di vita trovati, non costruiti, Mitchell ricerca anch’esso la quotidianità della cultura nera, ma mantenendo sempre quella formalità quasi impeccabile dell’immagine da set fotografico.
Monitor
La galleria Monitor ci accoglie con una monografica sull’artista italiana Elisa Montessori. L’artista è stata selezionata da Elle x Paris Photo, programma organizzato tramite il Ministero della Cultura francese che grazie a Kering, società che opera nel lusso, ha deciso di supportare quattro gallerie che ospitano mostre personali o collettive con artiste donne. Al centro dello stand un enorme libro su un leggio, liberamente consultabile, con al suo interno miriadi di acquerelli ibridati spesso con elementi naturali. Alle pareti lavori fini a cui ibrida la tecnica del collage, della scrittura a quella della fotografia. Basata sul concetto di presenza/assenza, di mettere/levare, l’opera 14142 x 14142 = 2, square meters of art rappresenta dei fili d’erba alcuni fotografati altri disegnati e altri ovviamente mancanti. Secondo l’ontologia Tao seguita dalla Montessori, anche il vuoto possiede un segno a sé ed il titolo dell’opera viene perciò scritto al suo interno, quasi un approccio calligrafico che possa geograficamente cambiare le cose.
Archivos Perez e Calle
Girato l’angolo allo stand D45 si trova l’Archivos Pérez & Calle di Bogotá. Per loro è la prima Paris Photo e per di più il proprietario Julio Pérez ci tiene a sottolineare che è un archivio, che vi partecipa e vende come privato, non come galleria (e non ha un sito internet). Un uomo tranquillo, se ne sta seduto e osserva come le persone si approcciano al suo archivio, anche perché etichette non ce ne sono, si può giusto chiedere o sbirciare al pricelist vecchia scuola buttata su un piano (teoricamente) espositivo. Dai colombiani Maria Cristina Cortés, Manolo Vellojin poi Brigid Berlin, amica storia di Andy Warhol che lo ha introdotto alla Polaroid, si prosegue con delle “post mortem polaroid”, una serie di “foto brut” di Pepe Gaitán e di Emma Reyes, artista colombiana che ha vissuto per anni in Francia e di cui hanno dei lavori corredati delle lettere che mandava al suo gallerista di allora. Si arriva infine a piccoli album, oggetti da collezione legati alla fotografia, delle “photo sculpture” come si dice in America Latina, fotografie di persone perfettamente ritagliate e poste su delle strutture di legno che seguono quella stessa sagoma, un kitsch adorabile. L’unione perciò è di oggetti trovati, fotografie anch’esse ritrovate in piccoli archivi e collaborazioni con alcuni artisti di nicchia per seguirne il lavoro.
Alberto Damian
Da tre anni nella sezione principale di Paris Photo, Alberto Damian quest’anno presenta uno stand come sempre sui toni del grigio con la fotografia in bianco e nero di Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Marialba Russo e Franco Zecchin. Di Letizia Battaglia sono state selezionate The ball. New Years’ Eve Party at Villa Airoldi da Jim Jarmusch e da Elle x Paris Photo Funeral for the mayor Vito Lipari of the Christian-Democratic Party, killed by Mafia. Lo stand si gioca tutto sulla documentazione del folklore e della vita vera, spesso e volentieri quella del sud. A confronto due scatti anzi, più che a confronto si fronteggiano valorosamente. È stato ucciso mentre andava in garage a prendere la macchina di Letizia Battaglia sulla destra che ritrae questo corpo dalla prospettiva che ricorda quasi il Cristo Morto di Mantegna, ma sotto sopra e riverso al suolo, con una chiazza di sangue resa rispettosa dall’uso del bianco e nero, e lo stesso momento fotografato da Franco Zecchin ma dall’altra parte del vialetto: cambia la visuale sull’uomo e si vedono ora si fotografi accorsi sul posto, tra cui Battaglia accovacciata che guarda.
Elisabetta Pagella
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