A Parigi una grande mostra di Tina Barney, la fotografa della borghesia 

Per la prima volta in Europa, la grande fotografa Tina Barney viene celebrata con una grande mostra al Jeu de Paume: 55 stampe di grandi dimensioni per raccontare 40 anni di carriera

La mostra Family Ties (legami famigliari) di Tina Barney (New York, 1945) è la prima grande monografia realizzata finora in Europa che riunisce quarant’anni della carriera dell’artista attorno al suo soggetto principale nella ritrattistica: la famiglia borghese americana. In mostra al Jeu de Paume, 55 stampe di grandi dimensioni (120 x 150 cm) a colori e in bianco e nero che riproducono sia scatti storici che inediti. 

Tina Barney, Musical Chairs, 1990
Tina Barney, Musical Chairs, 1990

La fotografia di Tina Barney 

La fotografa ha iniziato a ritrarre amici e parenti più stretti attorno al 1976. Fine osservatrice dei rituali familiari, ha mostrato attraverso i suoi lavori il fil rouge che intercorre nelle relazioni tra le diverse generazioni, la considerazione del modello parentale, la trasmissione e l’educazione all’interno dell’ambiente domestico. La composizione delle sue fotografie è quasi sempre costruita, le persone sono come attori in una scena teatrale o cinematografica, anche se in alcuni casi la spontaneità dei rapporti ha avuto la meglio. Barney si è inclusa molte volte nell’inquadratura delle sue fotografie di famiglia che ha realizzato nella loro casa di New York e in New England. Ha corso spesso il rischio di creare uno squilibrio generando quasi un effetto di freddezza o critica sociale alla sua stessa famiglia, ma è esplicito che il suo intento fosse di rendere quella dimensione più intima una testimonianza. Come nella fotografia Tim, Phil and I (1989) in cui la Barney si ritrae insieme ai due figli durante un barbecue e nei gesti delle loro mani, sebbene esse non si tocchino, rende evidente una vicinanza ed un legame reciproco attorno ad un atto condiviso.  

Tina Barney, The Reunion, 1999
Tina Barney, The Reunion, 1999

Rapporti e rituali nelle fotografie di Tina Barney 

Ha sempre amato seguire quegli avvenimenti ricorrenti a cui si accompagnano dei gesti ripetuti, come in un rituale: lo stesso modo di abbigliarsi, gli stessi cibi preparati, gli stessi luoghi di ritrovo che generano un senso di appartenenza dettata proprio dalla ripetitività, che rassicura contro lo scorrere del tempo. Infatti Tina Barney si è più volte confrontata con il tempo, affascinata dalla costante somiglianza che inevitabilmente si riscontrano in famiglie diverse, grazie alla tipologia del rapporto scelto. All’interno della mostra lo spettatore può vedere nella stessa stanza fotografie che riportano rapporti analoghi, come quello tra madre e figlia, a distanza di anni. Nel 1976 aveva realizzato il celebre ritratto Jill and Mom e vent’anni più tardi The Daughters (2002), in cui si ritrova quella stessa relazione, ma non più nella sua famiglia americana bensì in una francese. Oltre alla sua produzione prettamente artistica nell’arco di tutta la sua carriera si è dedicata anche a servizi fotografici su commissione da parte di celebri riviste, come W o Vogue, immortalando personalità come l’attrice Julianne Moore nel 1999 e il gallerista Leo Castelli in Mr. and Mrs. Castelli (1998). 

Il processo fotografico di Tina Barney 

È sempre alla fine degli Anni Settanta che Barney ha elaborato un approccio alla fotografia del tutto inusuale. Se fino ad allora aveva utilizzato una Pentax 35mm, macchina fotografica tenuta a mano, nel 1981 decide di cambiare medium passando ad una camera fotografica Toyo 4×5, montata su treppiedi. Sebbene più complessa da utilizzare, a causa del suo ingombro ed anche del tempo di posa che questo mezzo fotografico comporta, grazie a quelle stesse dimensioni l’immagine può essere ingrandita mantenendo un’altissima definizione. Così quella meticolosità utilizzata per fotografare si rispecchia anche nei soggetti ritratti di cui si può osservare precisamente ogni dettaglio, come i capelli lasciati sulla spazzola in bagno nel ritratto delle sorelle Jill and Polly in the Bathroom (1987). “Voglio che sia possibile avvicinarsi all’immagine. Voglio che ogni oggetto sia il più chiaro e preciso possibile, in modo che lo spettatore possa davvero esaminarlo e avere la sensazione di entrare nella stanza” (Tina Barney, BOMB Magazine, 1995).  

Tina Barney, The Limo, 2006
Tina Barney, The Limo, 2006

Le critiche rivolte a Tina Barney 

Una delle principali critiche mosse alla fotografa era che tendesse a ritrarre solamente la classe più agiata (che tra l’altro è quella da cui proviene). Tra il 1996 e il 2004 la fotografa viaggia molto in Europa (Austria, Francia, Spagna e Germania) ponendo maggiore attenzione ai tipi sociali ed ai solo costumi, piuttosto che agli individui. Proprio per questa ragione le immagini di quel periodo posseggono una costruzione del ritratto che rimanda ad opere pittoriche della tradizione del ritratto di rappresentanza del XVIII Secolo di personaggi dell’aristocrazia o dell’alta borghesia europea. Nonostante le scelte compositive e i riferimenti utilizzati, Barney ha più volte ribadito che il suo reale interesse fosse quello di rappresentare la famiglia, concepita come un gioco complesso di ruoli sociali a cui i suoi membri dovevano attenersi.  

Tina Barney, The Entrance Hall, 1996
Tina Barney, The Entrance Hall, 1996

Tina Barney e i ritratti individuali 

Alla fine degli Anni Novanta Tina Barney prende coscienze di voler mettere “meno del mondo” all’interno delle sue fotografie. L’uso del treppiedi e della luce artificiale ha indotto a pensare che gli scatti fossero stati eseguiti all’interno di uno studio, ma l’artista invece ha sempre ricercato la spontaneità e la libertà d’approccio che una persona ha quando si interfaccia ad una macchina fotografica. Per esplicitare questa sua urgenza ha perciò deciso di rappresentare un’unica persona invece che gruppi familiari. Come riprova del fatto che la borghesia non viene rappresentata solo nel suo contorno paradisiaco sostanziato di privilegi, l’artista spesso riporta finemente le complessità e i problemi che quella stessa agiatezza comporta. In The Screen (1998) un signore anziano vestito di tutto punto sta seduto in un ambiente elegante in attesa, con lo sguardo assorto nel vuoto. Il critico d’arte Andy Grundberg scrisse: “Il mondo della Barney è, in modo curioso, il rovescio della medaglia di Nan Goldin. Sebbene le due fotografe si concentrino su sottoculture molto diverse e utilizzino stili molto differenti, il loro lavoro cattura un senso di malessere che è difficile da ignorare”. A dimostrazione di quanto conti soffermarsi sulla scelta dell’estrazione dei soggetti o piuttosto concentrarsi su ciò che essi esprimono. Fino a che punto uno scatto sia costruito ad arte e fino a che punto voglia fermare un attimo spontaneo all’interno di dinamiche intime? Non è chiaro, ma sta forse proprio in quello scarto l’essenza, in quella “linea sottile tra l’improvvisazione totale e la direzione” soprattutto perché lei stessa riconosce di non rientrare in nessuna delle due categorie.  

Elisabetta Pagella 

Parigi // fino al 19 gennaio 
Tina Barney. Family Ties 
JEU DE PAUME 
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