A Napoli, l’architettura di Gomorra e Liberato arriva in galleria con la mostra di Tobias Zielony
La visione utopica del grande architetto Aldo Loris Rossi entra negli scatti di Zielony, che raccontano la Napoli radicale da Piazza Grande ai Ponti Rossi
L’esuberanza è il concetto cardine della mostra dell’artista tedesco Tobias Zielony, che popola le pareti della galleria Lia Rumma con immagini di una Napoli architettonicamente fantasmagorica, ma poco assillante. ‘Overshoot’ ossia ‘esagerare, andare oltre’ è, infatti, il titolo dell’esposizione rievocando l’omonima trasmissione in onda su Radio Radicale di cui Aldo Loris Rossi era frequente ospite. Protagoniste delle fotografie di Zielony sono, infatti, le architetture parlanti del progettista, ricche di significati e significanti affidati a forme futuriste. Rossi (1933-2018) ha caratterizzato la sua espressione architettonica di idee utopiche e visionarie, ‘fuori’ dal loro periodo. ‘Ad ogni tempo la sua arte, ad ogni arte la sua libertà’ è il messaggio che campeggia sulla palazzina della secessione viennese, e volendo assumere come giusto tale dictum, la libertà di Rossi è proprio nel formulare un’arte ‘non del suo tempo’ per certi versi, ma anticipatrice di istanze ideali e sociali oggi più che mai attuali.
La vita del progetto: una fotografia ‘non statica’
L’intuizione di Zielony è acuta. Vivificare gli edifici di Rossi è un atto di contestualizzazione dell’architettura nell’hic et nunc della scena odierna.
Mentre ‘ars gratia artis’ [est] (l’arte per l’arte), l’architettura trova compimento nell’incontro con chi la abita: il progetto è una forma di creazione per l’uomo, che in uno scambio ossimorico, ne diventa co-protagonista. Le opere dell’artista tedesco, che già ha assaporato la Napoli brutalista lavorando sulle Vele di Scampia nel 2010, sono una combinazione tra forme architettoniche e ritratti. La sua ricerca non è un reportage civile, ma un iter estetico-cinematografico tra ciò che accade nel mondo reale e ciò che si compone dietro l’obiettivo. Lo studio delle condizioni urbane meno sofisticate non si traduce in giudizio, ma in rivelazione delle stesse. I microcosmi che si generano tra le mura di Rossi sono alveari attivi di personalità -outsiders- che dialogano tra loro e con gli spazi tramite un alfabeto che Zielony riesce a tradurre.
Tutti gli scatti sono serali, ma estremamente lucenti. Questa è un’altra dicotomia che l’artista evidenzia: il cemento del complesso residenziale di Piazza Grande ai Ponti Rossi, della Casa del Portuale nella zona di via Marina o della Chiesa di Santa Maria della Libera e del Santissimo Redentore di Portici si fa tela di un gioco di luci che risveglia le architetture.
Un video racconto in divenire: l’architettura mobile
La mostra si correda non solo di fotografie, ma anche di nove video in stop-motion che narrano gesti autentici di un habitat. I dettagli delle forme si completano con movimenti fluidi, più dinamici o più lenti, di chi scorre tra le trame delle architetture radicali. Le interazioni tra l’uomo e lo spazio sono osservate senza interromperne la dinamica. Le riprese sono sincere, l’occhio della camera non invade o modifica il naturale scorrere delle cose, ma si pone attento e discreto come lo sguardo di Degas dal buco della serratura. La camera di Zielony punta anche alle strutture dei progetti: il vocabolario costruttivo è manifesto. Le intelaiature metalliche annegate nel cemento o le vetrate che scandiscono i prospetti sono segni architettonici che emergono dalle opere dell’artista. La mostra è un disegno a tutto tondo di una Napoli (s)velata.
Elizabeth Germana Arthur
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